Murano. Il museo del vetro riapre e raddoppia
Una sede espositiva completamente rinnovata
per Palazzo Giustinian, che propone la storia e le espressioni più
nobili della tradizionale lavorazione artigianale dell'isola lagunare
"Davanti a Santa Maria degli Angeli, le donne muranesi sedute in su le
porte infilavano le conterie" scriveva Gabriele D'Annunzio nel secolo
scorso. Oggi, quelle "conterie", termine usato per indicare perle e
perline, diventano il nucleo del nuovo Museo del Vetro di Murano. Dopo
la chiusura temporanea, avvenuta lo scorso dicembre per permettere i
lavori a Palazzo Giustinian (dove il museo esiste dal 1861), riapre al
pubblico il 9 febbraio, nella stessa storica sede ma con un aspetto
totalmente nuovo, a partire dal raddoppiamento degli spazi espositivi,
grazie al recupero proprio delle cosidette "ex Conterie". Il restyling,
curato da Chiara Squarcina su progetto museografico di Gabriella Belli,
direttore della Fondazione Musei Civici di Venezia e con allestimento di
Daniela Ferretti, è stato realizzato grazie al cofinanziamento del
Fondo di Sviluppo Regionale dell'Unione europea assegnato dalla Regione
Veneto, e al sostegno del Comune di Venezia.
Entrando,
al numero civico 8 di Fondamenta Giustinian, oltre alla biglietteria,
ai servizi, al museum shop e ai due ascensori che contribuiscono
all'abbattimento delle barriere architettoniche, i visitatori trovano a
sinistra una timeline in cui sono ripercorse le tappe fondamentali e i
cambiamenti della storia vetraria di Murano, documentati con circa
cinquanta opere scelte dall'età romana al Novecento. L'attraversamento
introduce all'ingresso nello "Spazio conterie" che, nell'Ottocento era
il regno degli artigiani "paternostreri", che tagliavano le canne
forate, per creare le perline che poi finivano in appositi vassoi, e
oggi di quell'epoca conserva archi e linee architettoniche ma trasforma
l'ambiente in un moderno "white cube", che non ha più il sapore
frenetico e appassionato di quel passato. A destra, spazio alle novità
vetrarie più recenti, con la sala del "Vetro contemporaneo", dedicata
alla memoria dell'artista Marie Brandolini d'Adda, recentemente
scomparsa e famosa per i suoi "goti", bicchieri creati con assemblaggi
senza regole di vetri colorati. Qui trovano posto sia opere di artisti
italiani che stranieri degli ultimi decenni.
Salendo al primo piano, il percorso espositivo diventa cronologico, suddiviso in otto sale. Si
parte con "Le origini", in cui trovano posto esemplari del vetro
muranese che risalgono al medioevo. La seconda sala, la più grande,
ripercorre gli anni "Fra Trecento e Seicento. L'età dell'oro",
incentrandosi sul periodo del Quattrocento, quando Venezia, e quindi
Murano, contestualmente alla crisi della produzione islamica, diventa
leader nell'arte del vetro. È il periodo di un maestro come Angelo
Barovier (1405-1460) e del vetro puro che diventerà virtuosismo nel
Cinquecento, con le creazioni del vetro simili a merletti, messe a punto
da Vincenzo d'Angelo dal Gallo e altri vetrai che reinventano tecniche e
decorazioni. A partire dal XVI secolo si inizia a parlare di dinastie
di vetrai e, proprio alla loro abilità, è dedicata questa sala. Si
continua con la terza sezione dedicata al "Settecento tra moda e
creatività", la quarta sul "gusto della mimesi tra Settecento e
Ottocento: calcedonio e lattimo", la quinta "dal vetro mosaico al
millefiori: le murrine", la sesta "tra Settecento e metà Ottocento: il
periodo più difficile", la settima sulla rinascita "1850-1895" (tra i
protagonisti Pietro Bigaglia, Antonio Salviati) e l'ultima sala, sul
vetro e design dal 1900 agli anni Settanta. Sono presenti i lavori di
Vittorio Zecchin, Archimede Seguso, Alfredo Barbini, Carlo Scarpa,
Napoleone Martinuzzi e di tutti gli altri vetrai che hanno reso unico il
patrimonio di Murano, a cui è dedicato l'unico museo specializzato nel
vetro artistico e inserito in un contesto tuttora attivo, in cui
fornaci e vetrerie lavorano costantemente, nonostante il periodo di
crisi, per salvaguardare competenze e tradizioni ma cercando di tenersi
al passo con i tempi.
FONTE: Valentina Bernabei (repubblica.it)
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