lunedì 25 marzo 2013

Quando l'abito fa il potente: mostra e libro sulla genesi del potere maschile



PARIGI - La toga del civile Giulio Cesare (e il meno civile Bokassa), il tre pezzi, culottes-gilet-giacca, dell’ingessato Luigi XIV (e, culottes a parte, del più disinvolto John Fitzgerald Kennedy), l’uniforme e, all’occasione, il mantello d’ermellino di Napoleone, le maniche di camicia di Barack Obama fino al nostrano loden di Mario Monti: l’abito non farà il monaco, ma può fare un papa (vedi le scarpe rosse dell’ex pontefice) e comunque, di sicuro, fa il potere. 
Se non bastassero millenni di storia, governanti e vestiti a dimostrarlo, lo attestano, in contemporanea, ben due mostre e un documentatissimo libro in Francia. “Fashioning Fashion” al museo delle arti Decorative del Louvre, “Costumer le pouvoir, opéra et cinema” al Centro nazionale del costume di scena a Moulins e “Les habits du pouvoir - Une histoire politique du vêtement masculin” (edizioni Flammarion), 280 pagine di immagini, vestiti e analisi storiche compilate dai fratelli Gaulme, François, storico e antropologo, e Dominique, giornalista. La tesi è una: il potere si conquista, si perde e soprattutto s’indossa. 

I SIMBOLI
Fin dall’origine, pelli e pellicce prima ancora dei tessuti, sono servite più ad affermare uno status che a coprire le nudità o a riscaldare. Primo tessuto in mostra a Parigi, un enorme pezzo di stoffa circolare di circa sei metri di diametro: la toga. Niente di meno pratico e più simbolico. Lasciava libero soltanto il braccio destro e impediva la maggior parte dei movimenti: abito per chi gli ordini li impartiva e non doveva eseguirli. Giulio Cesare fu il primo a farne un abito da capo. Un paio di millenni dopo, l’idea fu ripresa da Bokassa primo, incoronato imperatore del Centrafrica il 4 dicembre 1977. Dall’opera dei fratelli Gaulme scopriamo che Cesare fu un precursore anche per le scarpe. Ne indossava soltanto di rosse, colore di principi, sacerdoti e dei. Ispirò in questo modo Luigi XIV, che lanciò la moda dei tacchi rossi a Versailles, e qualche altro papa a Roma. Sempre il re Sole decise di farsi cucire addosso il potere assoluto in tre pezzi: culottes, gilet e giacca. L’insieme, intessuto con fili d’oro e pietre preziose, costringeva a mantenere una postura delle più altere e ieratiche, del tutto in linea con la moda, anche politica, del tempo. «C’era una silhouette da rispettare – spiega Denis Bruna – con i giromanica molto stretti sulle spalle, l’abito obbligava a stare molto dritti, con il busto spinto in avanti… una tenuta impossibile da portare per qualcuno che dovesse svolgere un qualsiasi lavoro». 

DISTENSIONE
Con la democratizzazione del potere, anche i vestiti si distendono. Se Napoleone sdoganò in Occidente l’uso dell’uniforme (oggi ancora cara al russo Putin), è grazie al dandy inglese George Brummel che i re prima, e i presidenti e altri capi poi, poterono lasciarsi andare a un’eleganza più decontractée. Sostituite le culottes con i pantaloni, il re Giorgio IV alleggerì il tre pezzi del monarca osando colori come il verde mela o il rosa. Se oggi sarebbe impensabile esibire il sigaro come faceva con ostentazione Winston Churchill e il più liberal John Fitzgerald Kennedy, ha invece fatto scuola il gilet e il mocassino indossati senza timore dal più giovane dei presidenti americani. Costretti a viaggiare, a cambiare continuamente fuso orario e clima, a dormire in aereo, a lavorare in treno, resistere a riunioni maratona, i leader di oggi si concedono abiti in cui il confort è il primo segno di potere. Per i fratelli Gaulme, la corona di leader più elegante va al segretario dell’Onu Ban Ki-moon, «discreto con molta classe». A dettare legge resta però il capo del mondo libero Barack Obama, che può contare non solo sulla forza della Casa Bianca, ma anche su una forma longilinea. E non sempre scegliere la cravatta è facile: sbagliò tutto per esempio il neo eletto presidente francese François Hollande, che si presentò in rigido tre pezzi e cravatta al suo primo G8 a Camp David. Errore: nonostante l’importanza delle decisioni, la riunione in campagna imponeva il maglioncino (come bene scelse Mario Monti) o al massimo una camicia aperta sul collo. «Da questo punto di vista – analizzano gli esperti – la Francia ha sempre avuto difficoltà con le regole non scritte».

FONTE: Francesca Pierantozzi (ilmessaggero.it)

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