Non si poteva pretendere che a Torino arrivasse un’esposizione di Gerhard Richter come la straordinaria retrospettiva presentata a Londra Parigi e Berlino l’anno scorso per festeggiare i suoi ottant’anni, ma la mostra che si è inaugurata alla Fondazione Sandretto è di particolare interesse perché è tutta incentrata su un aspetto specifico della produzione dell’artista, quello delle sue edizioni serigrafiche, tipografiche, fotografiche (e anche di oggetti e arazzi) a tiratura multipla ma limitata, che nella sua ricerca fin dall’inizio hanno avuto una notevole importanza. Non è un caso che tutte le fasi e tutti i temi del suo lavoro pittorico, dal 1965 ad oggi siano stati elaborati anche attraverso delle edizioni seriali. Lui ha dichiarato, nel 1998, che le sue edizioni sono una forma di democratizzazione delle sua arte, rispetto ai pezzi unici, ma anche questi multipli hanno raggiunto quotazioni altissime.
Da un lato Richter si interroga sulla natura dell’immaginario fotografico e sull’utilizzazione della fotografia come base su cui intervenire pittoricamente, e dall’altro lavora, con valenze autoreferenziali, sui caratteri fondamentali del processo pittorico in chiave astratta (apparentemente) gestuale, minimalista e illusoriamente figurativa. Nel suo insieme la ricerca di Richter, che attraversa tutte le convenzioni iconografiche, ibridando i procedimenti fotomeccanici con quelli artistici manuali, appare eclettica. In realtà rimane sempre centrale la domanda sull’essenza enigmatica dell’immagine nella nostra società, e quella sullo scarto sempre incolmabile fra realtà e rappresentazione. Tutti questi aspetti sono presenti, con la stessa affascinante complessità, anche nelle edizioni realizzate in più esemplari, con effetti del tutto peculiari. È il caso soprattutto delle foto-pitture, e cioè dei quadri (sia quelli in bianco-nero che quelli successivi a colori) che ridiventano nelle edizioni seriali delle stampe fotografiche, innescando uno straniante cortocircuito concettuale all’interno stesso della strategia operativa dell’artista. Ed è così possiamo vedere le immagini delle immagini di molti fra i dipinti più noti come quelli dei primi Anni 60 che raffigurano in modo realistico ma sfasato e sfocato (attraverso il passaggio di un pennello secco sulla superficie dipinta) ritratti, oggetti o anche paesaggi e aerei; oppure la suggestiva figura di Ema nuda che scende le scale (omaggio a Duchamp), o ancora il ritratto della figlia Betty di spalle che guarda un quadro grigio del padre sulla parete di fondo. Ma ci sono anche delle sperimentazioni innovative, come l’utilizzazione fuori registro della fredda e impersonale stampa offset, per esempio in un ritratto della Regina Elisabetta del 1966; e soprattutto le riproduzioni fotografiche di suoi quadri astratti informali o figurativi su cui l’artista è intervenuto con spatolate materiche, trasformando ogni stampa in un pezzo unico.
Le due serie di lavori più originali, che non hanno un corrispettivo nella produzione dei pezzi unici, sono iNeun Objekte, del 1969, e i cento dischi in vinile (delle Variazioni Goldberg) con interventi di pittura secondo uno schema seriale ma sempre variato. Gli oggetti del 1969, sono delle immagini di oggetti in legno con forme geometriche assurde costruiti dall’artista che, attraverso un ritocco fotografico appaiono come illusioni ottiche tridimensionali reali, inserite in un ambiente della vita quotidiana. Nella mostra la sala più spettacolare è quella che accoglie quattro immensi arazzi recenti, realizzati a partire da immagini di dipinti astratti specchiati e riflessi in modo da formare una configurazione tipo macchia di Rorschach. Sono di sontuosa bellezza, ma forse troppo decorativi e estetizzanti, non propriamente in linea con il rigore di Richter.
L’esposizione, curata da Hubertus Butin e Wolfgang Schoopmann, presenta centosessantacinque opere, tutte del collezionista tedesco Thomas Olbricht. È il corpus completo delle edizioni dell’artista. Manca solo l’edizione dei 48 Portraits (quella relativa alla serie di ritratti di tedeschi famosi presentata alla Biennale veneziana del 1972), tirata in sole quattro copie destinate ai musei.
GERHARD RICHTER . Edizioni 1965-2012 dalla Collezione Olbricht
torino, Fondazione Sandretto
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