lunedì 6 agosto 2012

Fotografia contro pittura un match postmoderno



Oggi le istantanee hanno mandato in soffitta il tradizionale inferiority complex: due mostre a Francoforte lo dimostrano

Il rapporto tra pittura e fotografia è da sempre controverso. Due mostre in corso a Francoforte permettono di mettere definitivamente in soffitta il complesso d’inferiorità della fotografia e anzi di mostrare originali percorsi, con qualche sorpresa. Più viva che mai, la fotografia si appresta infatti alla sfida delle nuove tecnologie, divenendo non solo testimonianza della realtà o strumento di creatività, ma assumendo nell’universo della comunicazione globale un ruolo del tutto inusitato, al di là dell’immagine artistica: intervenendo nella realtà quotidiana con i milioni di scatti dei nostri cellulari, modificando la Storia come stanno a dimostrare ad esempio le immagini del dissenso e delle insurrezioni arabe.

Allo Städel Museum (fino al 23 settembre) Painting in Photography. Strategies of Appropriation curata da Martin Engler e Carolin Köchling, presenta una sessantina di lavori di artisti che, per diverse strade stilistiche, hanno riconsiderato la relazione, spesso ambivalente, tra pittura e fotografia. Abbiamo i primi esempi di sperimentazione fotografica dello scrivere con la luce di László Moholy-Nagy (1895-1946) nei fotogrammi del 1920, realizzati senza macchina fotografica nei quali la luce naturale crea sulla carta sensibile forme astratte e la ricerca sulla luce di Otto Steinert (1915-1978) con i luminigrams. Fra i big della ricerca contemporanea Thomas Ruff con Substrat propone mutazioni cromatiche di campi di colore. Di Hiroshi Sugimoto sono esposti i «paesaggi marini», in quest’ultimi l’artista, lavorando sui tempi di esposizione, crea opere che trascendono la realtà raffigurata, sino a divenire, nel bianco e nero, una composizione astratta e spirituale.

Altri artisti si rifanno dichiaratamente alla storia della pittura come Jeff Wall che «ricostruisce», rendendolo contemporaneo, Un Bar aux Folies-Bergère di Édouard Manet. In Picture for Women (1979) l’artista canadese si rifà al famoso dipinto del 1882. La macchina fotografica è al centro dell’opera, e la si potrebbe leggere come una presa di coscienza del proprio ruolo. Molto più sommessa e intrigante, come si addice a autore e soggetto, è l’opera di Luigi Ghirri, che riprende, con la fotografia, gli oggetti utilizzati da Giorgio Morandi come modelli per le sue opere. Un altro approccio è quello di chi interviene con la pittura sulla fotografia come Oliver Boberg, Richard Hamilton, Georges Rousse e Amelie von Wulffen. Altri, più radicali, in piena temperie postmoderrna, come Sherrie Levine e Louise Lawler, esponenti della Appropriation Art, utilizzano, fotografandole, opere della storia dell’arte, in nuovi contesti.

All’MKK, museo d’arte moderna, Fotografie Total espone parte opere da una collezione che comprende oltre 2 600 lavori. La collettiva verte su due filoni. Da un lato artisti concettuali come Wolfgang Tillmans con l’immagine di un tucano che rasenta la perfezione formale. Vi sono i lavori di Lothar Baumgarten, Anna e Bernhard Blume, Bernd and Hilla Becher. Thomas Demand gioca sulla decostruzione e ricostruzione, creando immagini di interni stranianti. Sono soprattutto le installazioni che hanno come base la fotografia ad indicare una nuova frontiera. Nel momento in cui la specificità del fissare l’immagine non è più il traguardo finale, per la fotografia si apre sia la possibilità di divenire elemento costituente di una nuova opera d’arte in cui intervengono materia, foto, video, sia di elemento iconografico fondante nell’universo digitale (che la rassegna non affronta). In mostra troviamo i tableaux vivants , di Aernout Mik con un quanto mai attuale crollo della borsa, i video di Mario Pfeifer, la foto installazione di Mark Borthwick che trasforma la parete di una stanza nella storia quotidiana fissata da istantanee. Un’altra parte della mostra è dedicata al fotogiornalismo di inchiesta e di denuncia. Dagli scatti ormai storici di Paul Almasy, a Barbara Klemm, a Inge Rambow con la serie sui disastri ambientali dove, nella realizzazione fotografica, anche le discariche sembrano acquisire una loro estetica. Di Anja Niedringhaus rivediamo le serie sulla guerra che le hanno fatto vincere il premio Pulitzer.

FONTE: Massimo Melotti (lastampa.it)

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