mercoledì 30 novembre 2011

Digitalife, il futuro del digitale a Romaeuropa tra reale e fantastico

E’ soprattutto una mostra sonora, prima ancora che visiva, la digitalife2 che Romaeuropa ha allestito all’ex Gil di Largo Ascianghi (davanti al cinema Sacher) e intitolato Il reale, il meraviglioso, il fantastico. Lo scorso anno ospitata dalla Pelanda, è da oggi nell’edificio morettiano sempre più spesso destinato ad usi, per così dire, contemporanei. 

La seconda edizione di digitalife, realizzata da Romaeuropa in collaborazione con Filas, presenta 13 opere (fino all’11 dicembre, dal martedì al venerdì dalle ore 16 alle ore 23, sabato e domenica dalle ore 12 alle ore 23). Vi verrà consegnato all’entrata un paio di occhiali per vedere in 3d l’opera del coreografo e danzatore giapponese Saburo Teshigawara: il Double District cui fa riferimento il titolo dell’opera, che riuscirete a vedere attraversando un corridoio quasi del tutto immerso nel buio, sono i due distretti visivi, il destro e il sinistro, che il cervello ricompone in un’immagine illusoria della realtà. Le due zone sono costituite da due danzatori, un uomo e una donna, che sembrano intersecarsi ma che invece restano distanti, come si capisce bene inforcando l’occhiale della verità. 

Al momento di iniziare il percorso, sarete dotati anche di un congegno elettronico da mettere al collo come un ciondolo, una sorta di chip assegnato a ciascuno spettatore, in comunicazione con un “satellitare” artistico che capta il movimento e lo specchia nell’istallazione nata dalla collaborazione tra Santasangre, il collettivo romano che unisce teatro, danza e arti visive, e Pool Factory, la cui attività è incentrata sull’animazione 3D. Insieme hanno dato vita al Progetto abLimen, una metafora biologica di cui tutti sono partecipi più o meno consapevolmente. La massa indistinta ma formata di individui è anche al centro dell’opera “statistica” del Cattid (il centro per le applicazioni della televisione e delle tecniche di istruzione a distanza de La Sapienza), The future mood, che cattura attraverso un censimento emotivo di chi transita all’ex Gil lo stato d’animo (il mood, per l’appunto) che sarà dominante negli italiani. 

Le faccine dei social network, che ti avvisano, prima che sia troppo tardi, dell’umore che hanno i tuoi “amici”, si trasformano qui nelle infruttescenze del tarassaco (vedi alla voce: soffione) di colori diversi a seconda del dato fornito dal visitatore: commosso, arrabbiato, affascinato, felice, ansioso o entusiasta. Sull’interazione con lo spettatore è basato anche il lavoro di BCAA, 3Dom, The Ge-Dhir Journey, che si avvale del processo di identificazione del motion capture, che trasforma in dati numerici il movimento dei visitatori dando vita a un’interazione creativa.

Le opere e la distanza tra l’una e l’altra invitano anche a fermarsi qualche istante per riflettere sulle proprie reazioni, come accade quando scendiamo le scale che portano al piano -1 dello spazio disegnato da Luigi Moretti nel 1933. C’è una porta bianca, consumata dall’umidità: è quella che Christian Marclay (Leone d’Oro alla 54esima Biennale Arte di Venezia con The Clock) ha messo tra noi e l’interno dell’80 East 11th Street: Marclay, artista visivo e musicista, ci fa piombare nell’angoscia di una litigata domestica violentissima alla quale, come condòmini in transito sul pianerottolo di casa, assistiamo nostro malgrado. Un uomo sta inveendo con forza contro una donna, lei grida, piange, il cane abbaia, il telefono continua a squillare e nessuno risponde. Da ascoltare con curiosità e una discreta dose di terrore, come qualsiasi talk show con pretese investigative che si rispetti.

Tra i lavori più interessanti l’orchestra elettronica di Felix Thorn, 24enne di Brighton, che crea sculture audiovisive. Una definizione restrittiva, perché tra gli strumenti inventati, quelli mixati e quelli modificati, il palcoscenico senza orchestrali di Thorn ha a disposizione una gamma di suoni incredibile, indotta – naturalmente – da una semplice campionatura su pc. Le Felix’s Machine hanno un aspetto barocco, eppure parlano al nostro tempo utilizzandone tutte le potenzialità. Esattamente il concetto che dovrebbe attraversare il nostro quotidiano: parlare al futuro senza dimenticare la genialità del passato.

Al passato guarda anche l’opera di Quayola, video artista romano adottato da Londra, che scompone in prismi i quadri di soggetto sacro di Rubens e Van Dyck conservati nel Palais des Beaux Arts di Lille, pronti per essere altro al termine di un processo di deframmentazione stratificato. Strata #4è il titolo del doppio schermo, cui fa da sfondo un suono di scatole cinesi che si mischia con quello dell’installazione posta nella stessa stanza, tanto che non distingui se il cinguettio viene dalla Deposizione o dalle immagini della Serendipity di Masbedo (i milanesi Niccolò Massazza e Jacopo Bedogni), dedicata alla calma sprigionata dalle scogliere di Beachy Head, dove i giovani inglesi vanno a giurarsi amore eterno ma dove si registra anche un alto numero di suicidi. Il paesaggio si trasforma in impulso emotivo e cerebrale nella scultura audiovisuale Rheo: 5 Horizons di Ryoichi Kurokawa, basato sulla fusione di riprese video di paesaggi in hd. 

Ancora: una foto dell’artista concettuale serba Marina Abramovic, che riassume il suo Biography Remix in un’immagine in cui mette il proprio corpo al centro del messaggio artistico; i box che luminosi dell’Aoyama Space del tedesco Carsten Nicolai, modelli spaziali – li definisce lui – per esibizioni di luce e suono; le Lezioni di Tiro di Devis Venturelli, vincitore nel 2011 del contest video art della Romaeuropa Webfactory; Daniele Spanò, che si occupa anche di allestimenti teatrali, è in mostra con Safety Distance (Distanza di sicurezza), un’opera sulla complessità dei rapporti umani che sintetizza il suo percorso artistico: creare un’architettura visiva liberando il video dal suo supporto originario, il display. Infine l’Afleur di Giuseppe La Spada, teoricamente una dissertazione sull’amore, anche se sui tre schermi seguiamo, sola, una figura femminile senza abiti immersa in acqua e fiori, un’Ofelia contemporanea testimone di fughe del terzo tipo.

FONTE: Paola Polidoro (ilmessaggero.it)

mercoledì 23 novembre 2011

Van Gogh, Gauguin e Kerouac L'arte racconta il viaggio


A Genova, Palazzo Ducale, una mostra sul tema dell'itinerario. Con una guest star d'eccezione: "Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo?" del grande post-impressionista, per la prima volta in Italia


Da Jack Kerouac a Van Gogh, passando per Gauguin. Da Turner a Rothko, da Monet a Hopper, da Kandinskij a Nicolas de Staël. Sono alcuni dei "salti" carpiati che propone l'iperbolico repertorio di capolavori della mostra "Van Gogh e il viaggio di Gauguin" in scena fino al 15 aprile nelle sontuose sale di Palazzo Ducale. Il tema è tra i più suggestivi di sempre, il viaggio come avventura nel mondo, come esplorazioni delle culture e delle identità e riflessione intima nel proprio spazio dell'anima. Da qui, il curatore art director dell'evento, Marco Goldin, orchestra il suo personalissimo diario di bordo azzardando accostamenti, affinità elettive e accordi disarmonici tra i massimi artisti della fine dell'Ottocento e del Novecento, apparentemente spiazzanti e improbabili, ma figli di un'intuizione che lascia allo spettatore l'invito ad una riflessione. 
Un percorso che si compone da ottanta lavori della pittura europea e americana del XIX e del XX secolo provenienti dai musei di tutto il mondo. E se l'ispirazione a questa mostra viene da lontano, dalle passioni letterarie di un'adolescenza sedotta dal padre della beta generation Kerouac e dal suo mitico "On the Road", cuore pulsante, anche come scelta di allestimento in una saletta individuale, dominata da una penombra quasi mistica, è il capolavoro monumentale di Gauguin, quintessenza di una meditazione sul senso della vita d'artista, "Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo?" opera-testamento di quel 1897, quando aveva scelto la soluzione estrema dell'arsenico, in un tentativo di suicidio che poi fallì. Nel mese di aprile a Tahiti aveva ricevuto dalla moglie Mette la notizia che la figlia Aline, a poco più di vent'anni, era morta a Copenaghen in gennaio per le complicazioni derivanti da una malattia polmonare e Gauguin, straziato dal dolore, nei mesi successivi, matura in lui l'idea di togliersi la vita. 

Quattro metri di lunghezza per uno e mezzo di altezza, arriva in Italia per la prima volta (in Europa una sola volta), prestito eccezionale dal Museum of Fine Arts di Boston, che l'ha concessa per la quarta volta in un secolo. Mostra nella mostra, esplode folgorante la parata mozzafiato di quaranta Van Gogh (trenta dipinti e dieci disegni) a costruire un racconto sublime sulla parabola artistica del pittore olandese, toccando picchi di vertigine dall'"Autoritratto al cavalletto" dipinto nel 1888, arrivato dal Van Gogh Museum al "Campo di grano sotto un cielo nuvoloso" dipinto ad Auvers appena tre settimane prima della morte, opera riproposta al pubblico dopo quarant'anni, fino al "Seminatore", sempre eseguito ad Arles, accanto alle "Scarpe" tenero omaggio al suo quotidiano camminare, il tutto scortato dalla teatrale ricostruzione della camera di Van Gogh ad Arles. 

Intorno si dipanano i viaggi, tra l'America e l'Europa, inanellando visioni struggenti, e a volte bizzarre. Dalla provincia di un realismo magico di Hopper, ai viaggi monocromi nell'interiorità di Mark Rothko, che duettano con i giochi luministici di aria e acqua delle marine di Turner di un secolo e mezzo prima. Dalla Tahiti di Gauguin alla Giverny di Monet e le fioriture delle sue ninfee. Tra i colori musicali di Kandinskij ai percorsi straziati di Nicolas de Staël.

Notizie utili - "Van Gogh e Il Viaggio di Gauguin", dal 12 novembre al 15 aprile, Palazzo Ducale
Piazza Matteotti 9, Genova 
Orari: lunedì-venerdì: 9-19, sabato e domenica: 9-20
Info e prenotazioni: Call center 0422 429999
Catalogo: Linea d'Ombra
 
FONTE: Laura Larcan (repubblica.it)

mercoledì 16 novembre 2011

L'Avanguardia russa al femminile. A Vicenza le Amazzoni del '900

Nelle Gallerie di Palazzo Montanari, una grande mostra svela la storia di Goncharova, Popova e le altre. Cinque straordinarie artiste protagoniste di spicco nella sperimentazione. Senza dimenticare la moda


Oltre Kandinskij, oltre Malevic, Larioniv, Chagall e oltre Rodchenko, le avanguardie russe nella prima metà del Novecento erano popolate da donne artiste, come presenza cameratesca e complice nella ricerca di una sperimentazione estetica. Con uno spirito proto-femminista che neanche i dissacranti futuristi, in quella loro esaltazione della mascolinità, riuscivano a concedere alle colleghe. Erano Aleksandra Ekster, Natalja Goncarova, Ljubov Popova, Olga Rozanova, Varvara Stepanova, che il poeta cubo-futurista Benedikt Livšic si divertiva a chiamare "vere Amazzoni, cavallerizze scite".  Non importa se fossero amanti, amiche, compagne dei colleghi, non vennero mai discriminate sul piano della loro creatività per essere relegate all'ombra degli uomini. 

Dipingevano ed esponevano insieme, illustravano gli stessi libri, parlavano alle stesse conferenze. Furono sempre presenti, se non in misura addirittura maggiore, alle tante iniziative che segnarono la vita artistica di quegli anni. Un capitolo poco noto della storia dell'arte contemporanea che viene sviscerato ora dalla bella mostra "Avanguardia Russa. Esperienza di un mondo nuovo", in scena dall'11 novembre al 26 febbraio alle Gallerie di Palazzo Leoni Montanari, sede museale di Intesa Sanpaolo. 

Il filo rosso della rassegna è quello di setacciare i caratteri dell'avanguardia d'oltrecortina, tra tecniche, tematiche e principi teorici, raccogliendo complessivamente, per la prima volta in Italia, ottantacinque opere provenienti dai Musei regionali di Ivanovo, Kostroma, Jaroslavl e Tula, in un evento frutto della sinergia tra Intesa Sanpaolo, Centro studi sulla Cultura e le Arti della Russia dell'Università Cà Foscari di Venezia (costituito nel marzo 2011), Foundation for Interregional Projects di Mosca e Ivanovo Art Museum. E nel percorso, che regala capolavori vertiginosi come il "Cuneo viola" di Kandinskij, le tele di spirito suprematista di Malevic del 1915 o la "Composizione n. 61" di Rodchenko del 1918, nella lunga serie di inediti arrivati a Vicenza, spiccano loro, le "Amazzoni russe", come componente essenziale di un'esperienza creativa, dove, come sottolinea la curatrice Silvia Burini, "la centralità della produzione artistica della loro vita non trova eguali nelle esperienze dell'Europa Occidentale". 

Tant'è che "Non dobbiamo immaginarci certo un gruppo di donne emarginate e misconosciute ma i pilastri della grande avanguardia e a pieno titolo vivaci partecipanti alla vita culturale del loro momento". Comun denominatore della loro sensibilità estetica appare la matrice orientale, come sintetizzerà la stessa Goncharova: "La mia strada va verso la fonte originaria di tutte le arti, verso l'Oriente. L'arte del mio paese è incomparabilmente più profonda di tutto ciò che conosce l'Occidente". 

Tra frammentazioni e dissociazioni prospettiche, suggestioni cubiste, atmosfere di un astrattismo suprematista, una figurazione intimamente espressionista, emerge in loro un rapporto del tutto personale e unico con il corpo, gli oggetti e i vestiti. I loro quadri, infatti, contemplano la presenza di oggetti nonostante i picchi di sperimentazione. Come indica Silvia Burini, la Rozanova affolla i suoi interni con rocchetti, filo, avanzi di stoffe, pizzi e galanteria fino a progettare borsette (Disegno di borsetta, 1917) e si ritrae con collana e cappellino (Autoritratto, 1910). 

La Stepanova, nonostante le dichiarazioni favorevoli a una mise industrial, amava cucirsi i vestiti, riempiva i suoi quadri di manichini robotizzati (Composizione in rosso, 1920) e giocava con il filo di perle in una serie di foto di Rod? enko del 1928. La Popova, che non cedette alla tentazione di farsi una borsetta suprematista, aveva le sue debolezze per il bric a brac femminile. 

Ma questa fascinazione per la moda non deve essere liquidata come una scontata inclinazione femminile, perche anche gli artisti maschi dell'Avanguardia russa, da Puni a Malevi?, ricamavano e progettavano borsette: "Malevi? aveva appreso a ricamare dalla madre e lavorava all'uncinetto  - avverte Burini - Quasi tutti progettarono costumi e abiti alla moda".

Notizie utili - "Avanguardia Russa. Esperienza di un mondo nuovo", dall'11 novembre al 26 febbraio 2012, Gallerie di Palazzo Leoni Montanari, Contrà Santa Corona 25, Vicenza.
Orari: martedì-domenica 10-18, chiuso lunedì.
Ingresso: interno €6, ridotto €4.
Informazioni: www.palazzomontanari.com 2, call center 800578875

sabato 12 novembre 2011

Tabusso, è fiabesco il colore della neve

«Mac fioca»: tra mercatini, villaggi, ponti, giostre, locomotive

Farebbe capolino anche Guido Gozzano chez Biasutti rammentando il vergiliato sotto la neve di un secolo fa, come meta l’Esposizione al Valentino. Nella galleria di via della Rocca si inaugura oggi alle 18 Mac fioca, un omaggio di Francesco Tabusso alla candida visitatrice, come la salutavano i giornali d’antan, o, si attinga nella bottega poetica del Bel Guido, la «retorica neve “a larghe falde” della terza elementare un’immensa pagina bianca sulla quale è facile disegnare le più strane fantasie...». 

Ecco il pittore princeps, Tabusso, l’ultima favola, l’ultimo affabulatore in una città che, di Artissima in Others in Arte povera, si costringe a un tour de force robotico, smemorando le voci artigianali, i sentieri hors-catégorie (Ettore Fico, per esempio), le sue pagine più naturalmente magistrali (Mario Calandri: quale pubblico podio vorrà ariostescamente riconoscergli «quel che io vi debbo»?). 

Una promenade in una ventina di stazioni, un ritorno all’innocenza che solo la fuoriuscita dall’eden, che solo l’incespicare nel mondo, può, come testimonia l’atelier di Tabusso, sottrarre a ogni melensaggine, generando la «couche alta e tormentata» non sfuggita a Luigi Carluccio, mai corrosa voce, a trent’anni dalla scomparsa. Bruno Gambarotta e Gianfranco Schialvino (firmano i testi in catalogo) tessono il fil rouge che annoda mercatini, villaggi, ponti, marine, giostre, locomotive (i binari su cui confesserebbe di aver felicemente vissuto Pablo Neruda...). 

E’ il cuore nordico di Francesco Tabusso, mai tardo, mai arido, mai, montalianamente, «scordato strumento», a pulsare non lontano da piazza Maria Teresa, dove - lo rammentava Carlo Bernardi, il padre di Marziano - Arturo Graf, l’ideatore delle «sabatine», «imbacuccato nel paltò», giocava a palle di neve con gli allievi. 

Tabusso «fiammingo». Va da sé. Ma non dimenticando di scovarne le affinità sotto la Mole, tematicamente «Le arance, la neve e le officine Diatto» di Carlo Levi, stilisticamente il Gigi Chessa di «Figura con paesaggio invernale» del 1920, una donna magicamente straniata. Di fioca in fioca, mac fioca, ingresso vietato, beninteso, ai «fafioché». 

Galleria Biasutti via della Rocca, 6/B tel. 011/814.10.99 
Fino al 24 dicembre 

FONTE: Bruno Quaranta (lastampa.it)

giovedì 10 novembre 2011

A Roma "Digital Life 2" tecnologie e creatività

All'ex Gil, una grande mostra di performance multimediali, dove gli artisti internazionali collaborano con scienziati e ricercatori. Il risultato è uno show di installazioni ad alto tasso innovativo


Quando arte contemporanea e tecnologia sperimentale si alleano, ne viene fuori un "mondo diverso", a parte, dov'è possibile esplorare nuove forme di comunicazione. Dove la performance multimediale diventa la chiave di uno show immersivo, interattivo, dal forte impatto emotivo. Una finestra sul futuro digitale. E' quella che spalanca la mostra "Digital Life 2" progetto dedicato alle interazioni tra tecnologie innovative e creatività contemporanea, ospitata fino all'11 dicembre nell'ex Gil, prodotta da Romaeuropa Festival e Telecom Italia, in collaborazione con Filas, società che si occupa di innovazione nella Regione Lazio, evento collaterale tra i più prestigiosi della sesta edizione del Festival internazionale del Film di Roma 1

Come spiegano gli ideatori della kermesse Fabrizio Grifasi e Monique Veaute, "è da quattro anni che la Fondazione Romaeuropa ha avviato un percorso di esplorazione nell'ambito delle nuove tecnologie nella convinzione che queste stiano ridefinendo l'orizzonte culturale contemporaneo". Digital Life è una mostra, ma soprattutto un'esperienza multisensoriale, dove il concetto classico di arti visive è abbandonato e anche l'elemento del video-monitor appare obsoleto. E' qualcosa che va "oltre". La definiscono "piattaforma digitale", che si presenta come un lungo e complesso percorso articolato in installazioni multimediali frutto di una liaison nuova tra artisti internazionali e equipe di ingegneri, tecnici e ricercatori nel settore delle tecnologie e dell'innovazione. Quasi a suggerire la sfida di una possibile connessione tra artisti e industrie. 

Il fascino dei progetti, oltre al valore estetico, sta nella ricaduta scientifica. Il collettivo artistico dei Santasangre, nato a Roma alla fine del 2001, "sfrutta" per esempio delle competenze di The Pool Factory per la creazione del "Progetto abLimen", che registra il comportamento dei visitatori della mostra attraverso la visualizzazione olografica dei loro movimenti. "Quello che ci interessa - dice Roberta Zanardo di Santasangre - è registrare una tendenza di comportamento, che è poi una tendenza sociale". 

Il gruppo Bcaa propone una nuova produzione dal titolo "3Dom, The Ge-Dhir Journey" che si avvale della tecnologia 3Dom, un sistema in grado di interpretare i movimenti del corpo umano e di rendere il corpo stesso autore di proiezioni ottiche, vibrazioni audio, e stimoli interattivi audiovisivi. In sostanza, saggi di virtuosismo estremo dell'applicazione del "Motion capture". Una delle cose più bizzarre è che questo sistema operativo consente al corpo umano in movimento di "suonare", letteralmente. 

Nel campo dell'Interaction Design, ecco che spicca in mostra il lavoro del Cattid (Centro per le Applicazioni della Televisione e delle Tecniche di Istruzione a Distanza) dell'Università "La Sapienza" di Roma, una sorta di "centro sociale delle ricerche", come amano definirsi, che propongono lo spassoso "The Future Mood", un progetto innovativo che mira a rappresentare in maniera dinamica e interattiva l'umore degli italiani sul futuro. "The Future Mood nasce con l'idea di indagare in tempo reale gli stati d'animo condivisi dagli italiani per capire qual è l'umore del paese per il futuro - racconta il coordinatore scientifico Carlo Medaglia - E' un sistema on line in cui il motore di ricerca raccoglie su blog e social forum, da Facebook a Twitter, le frasi e gli aggettivi che esprimono un sentimento verso il futuro". 

In mostra, il progetto si traduce in un'installazione multimediale dotata sistemi di "realtà aumentata", dove il pubblico potrà comunicare a voce il proprio stato d'animo e condividerlo con gli altri italiani attraverso una rappresentazione visiva e interattiva. Ad alto contenuto tecnologico sono anche le opere artistiche che compongono la mostra, come ad esempio le stravaganti "Felix's Machine" del ventiquattrenne di Brighton Felix Thorn, sculture produttrici di musica. O l'animazione di oggetti matematici di Man Ray nell'opera di Carsten Nicolai. 

FONTE: Laura Larcan (repubblica.it)

Notizie utili - "Digital Life 2. Il reale, il meraviglioso, il fantastico", dal 26 ottobre all'11 dicembre 2011, Ex Gil di Trastevere, largo Ascianghi 5. Roma
Orari: dal martedì al venerdì,16-23, sabato e domenica, 12-23.
Ingresso libero.

lunedì 7 novembre 2011

Assisi, scoperto dopo ottocento anni volto di un demone nell'affresco di Giotto

La studiosa Frugoni vede il profilo del diavolo nelle nuvole. «Rivelazione importante per la storia dell'arte»

C'è il volto di un demone tra le nuvole di un affresco di Giotto nella basilica superiore di San Francesco ad Assisi: era lì con le sue corna da ottocento anni, nel ciclo pittorico che segna l'inizio dell'arte figurativa occidentale, osservato da milioni e milioni di persone e nessuno se n'era accorto. A scovare l'inquietante presenza nelle nuvole sospese fra la scena della morte di Francesco, in basso, e la scena dell'assunzione della sua anima in cielo è stata la storica e grande specialista francescana Chiara Frugoni.
QUEL PRIMATO PERSO DAL MANTEGNA - La notizia anticipata dal sito edito dal Sacro Convento (http://www.sanfrancescopatronoditalia.it/) sta facendo il giro del mondo: «Al di lá della curiosità e del valore teologico o pseudoreligioso, la scoperta di un demone dipinto da Giotto fra le nuvole ha un grande valore per la storia dell'arte», ha spiegato Chiara Frugoni. Fino ad oggi il primo pittore ad aver trattato le nuvole era Andrea Mantegna che nel suo San Sebastiano, dipinto nel 1460 (conservato nel Kunsthistorisches Museum a Vienna) mostra sullo sfondo del cielo un cavaliere che emerge da una nuvola. «Ora, questo primato del Mantegna non è più tale». Sul perchè, invece, Giotto abbia dipinto nella parte della nuvola più vicina all'angelo di destra «un vigoroso ritratto» Frugoni non si sbilancia: «Forse non fu soltanto un'impertinenza sfuggita fino a oggi all'occhio di tutti. Nel Medioevo si credeva che anche nel cielo abitassero i demoni che ostacolavano la salita delle anime: è un significato ancora da approfondire, ma che sembra destinato a dare buoni frutti».
MA È «NORMALE» NASCONDERE ELEMENTO IN UN'OPERA - «Non è una stranezza» secondo ha spiegato all'Adn Kronos lo storico dell'arte Claudio Strinati: «Che vi siano elementi nascosti in un'opera d'arte è del tutto normale e le opere hanno sempre due facce, una esplicita ed una implicita, destinata ad essere colta solo da alcuni». «Su questo genere di interventi, cioè sul celare in un'opera qualcosa di segreto o almeno di non evidente, non si hanno testimonianze scritte, quindi è difficile dire delle intenzioni, delle motivazioni dell'autore, capire, ad esempio, se l'elemento nascosto è concordato con i committenti oppure è celato anche a loro» aggiunge Strinati, ricordando poi che «vi sono anche casi particolari, come quello del pittore fiammingo Hieronymus Bosch, nei quali l'autore si rivolge intenzionalmente, con i suoi messaggi celati, a pochi adepti di una realtà cui appartiene, in quel caso una confraternita di iniziati».
SACRO CONVENTO: «L' IMPORTANZA DI OGGETTIVARE IL MALE» -«L'apertura e il dialogo che i frati di Assisi manifestano sulle grandi questioni che interessano la vita dell'uomo e della società contemporanea li ritroviamo anche nel dibattito culturale e scientifico attorno ai tesori artistici custoditi ad Assisi» ha detto il Custode del Sacro Convento, padre Giuseppe Piemontese. «Un dibattito che ci permette di porre delle domande che speriamo conducano alla Risposta del senso del significato della vita che è custodito nella storia di uno dei santi più amati dall' umanità». Per padre Enzo Fortunato, direttore della Sala Stampa del Sacro Convento «questa scoperta può farci comprendere a livello catechetico l'importanza di oggettivare il male per non accoglierlo nella propria vita».
FONTE: Paola Pica (corriere.it)