Il Louvre rilancia la singolare figura del genio settecentesco e lo mette a confronto con le opere di Tony Cragg
Il 26 giugno 1781 Friedrich Nicolai, protagonista dell’illuminismo berlinese, va a trovare Franz Xaver Messerschmidt nel suo studio a Pressburg (l’attuale Bratislava). È solo grazie alla testimonianza diretta di questo letterato che possiamo conoscere qualcosa sulla eccentrica personalità dello scultore e sul significato da lui attribuito alle sue straordinarie teste «di carattere». Uomo di fervente immaginazione, di temperamento sanguigno e fiero della sua assoluta castità, l’artista credeva assolutamente alla presenza degli spiriti, e specialmente a quelli che ossessionavano la sua mente e il suo corpo. Il suo principale nemico, «lo spirito delle proporzioni», era geloso di lui perché stava per raggiungere la perfetta conoscenza delle proporzioni e per questo lo tormentava con forti dolori fisici. Per liberarsi dallo spirito aveva elaborato un sistema che potremmo definire di arte-terapia apotropaica. Si pizzicava parti del corpo facendosi male per produrre delle esagerate contrazioni espressive del volto, che osservava attentamente allo specchio per poi rappresentarle, con estrema precisione plastica, nelle sue teste.
Secondo lui tutti gli aspetti dello spirito delle proporzioni potevano essere trasmessi attraverso sessantaquattro «smorfie» differenti e oggettivati in altrettante teste. E, sempre secondo Nicolai, al momento dell’incontro era arrivato a realizzarne già sessanta, in piombo, in lega di piombo e stagno e in alabastro. Nel suo ben noto saggio del 1932 dedicato a Messerschmidt, lo storico dell’arte e psicoanalista Ernst Kris ipotizza che lo scultore fosse affetto da schizofrenia, e che le sue teste fossero il prodotto di questa malattia. Forse l’artista era disturbato mentalmente ma non veramente alienato dato che anche negli ultimi anni, quelli vissuti a Pressburg fino alla sua morte nel 1783, aveva continuato a realizzare ritratti su committenza e altre sculture, con grande perizia, in linea con la produzione con cui si era affermato in precedenza.
Messerschmidt, che proviene da una famiglia di scultori bavaresi, a diciott’anni, nel 1754, inizia a frequentare l’accademia di Vienna dove subito si distingue per il suo notevole talento. Ben presto si afferma, in particolare con il busto e la statua dell’imperatrice Maria Teresa e con ritratti di principi e di intellettuali. Il suo stile barocco, dopo un viaggio a Roma nel 1765, si evolve verso un classicismo plasticamente più severo, caratterizzato sempre da una attenta precisione fisionomica. Nel 1769 è nominato professore aggiunto di scultura all'accademia, ma cinque anni dopo, alla morte del titolare, non gli viene affidata la cattedra, anche per causa della sua «instabilità mentale».
Lo choc è molto forte e destabilizzante, e proprio in questo periodo inizia a scolpire le sue prime teste. La mostra che si è aperta al Louvre è un’occasione eccezionale per conoscere come si deve Messerschmidt. In una grande sala azzurra sono riunite trenta opere dell’artista che documentano da un lato, con vari esempi, la produzione ufficiale e dall’altro soprattutto quella delle celebri teste con ben diciotto sculture sulle trentotto originali attualmente conosciute (quarantanove erano quelle catalogate nel 1793). Osservandole attentamente da tutti i lati, una per una, e confrontandole fra loro in una visione d’insieme, possiamo definire in sintesi alcuni aspetti peculiari di queste affascinanti e allucinanti maschere espressive.
Anche se l’artista conosceva certamente il trattato di Le Brun su come disegnare le «passioni», e poi anche quello sulla fisionomica di Lavater (pubblicato però nel 1775), i suoi volti non sono un repertorio di espressioni e passioni del volto, come i superficiali titoli postumi (ancora in uso) lascerebbero supporre, ma qualcosa di più inquietante e enigmatico. A determinare l’importanza artistica di queste sculture non è solo la loro bizzarria fisiognomica, e la straordinaria qualità della modellazione plastica che prende corpo nel piombo, nello stagno e nell’alabastro, ma anche soprattutto l’originale impostazione delle teste. Un’impostazione rigorosamente frontale e con le due parti del volto sempre estremamente, anzi esageratamente simmetriche (anche nei particolari minuziosamente definiti) tanto da creare un effetto di stilizzazione che raffredda in modo straniante la vitalità della tensione espressiva. Si crea così una sorta di singolarissimo corto circuito estetico da cui deriva una enigmatica sospensione di senso.
Come già era stato fatto al museo del Belvedere di Vienna nel 2008, anche il Louvre ha voluto proporre un dialogo (se non proprio un confronto) fra le sculture di Messerschmidt e quelle di un artista contemporaneo come Tony Cragg, che ha dislocato una decina di sue opere nella Cour Marly e nella Cour Puget, e ne ha anche installato una grande, rossa, con fluttuanti forme spiraloidi, all’entrata della piramide in alto. Alcune di queste sculture (nelle cui spire si intravedono in positivo e in negativo volti umani) si possono, volendo, mettere in relazione con quelle dell'artista tedesco per le valenze di ordine fisionomico. Ce n’è anche una che è un diretto omaggio a una delle teste di Messerschmidt, ma scoprirlo non è facilissimo.
FONTE: Francesco Poli (lastampa.it)
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