Un labirinto molle, tortuoso e stipato fino all’inverosimile di oggetti, follia e ossessioni materializzate. In mostra quasi 800 opere di artisti non convenzionali del XX secolo. In una parola: il museo di ogni cosa
Ricordate quel geniale, anche se un po’ pasticcione, film che si chiamava «Essere John Malkovich»? Si schiaccia il bottone d’un ascensore, in uno svettante grattacielo Usa, si finisce come per sbaglio o miracolo (le cose talvolta coincidono) in un infra-piano insospettato, la metà tagliata del mondo, una specie di fantastico e oppressivo universo «al di là dello specchio» della Modernità industriale, ove tutto è miniaturizzato. E bisogna camminare in ginocchio, per continuare a vivere o, almeno, alimentare il film. Ecco, se entrerete nella Pinacoteca Agnelli del Lingotto (e dovete farlo, perché si tratta di uno di quegli incontri che possono davvero cambiare la vita) scoprirete, proprio uscendo a sorpresa dall’ascensore, anzi, inciamperete felicemente in un iper-mondo del tutto alieno, imprevisto. Così poco piemontese, confusionario e alieno alle beghe terrene, una sorta di labirinto molle e tortuoso e stipato, sino all’inverosimile di oggetti, follia, e ossessioni materializzate. Però senza comunicare ansia o stucchevole saturazione.
Perché il troppo che stroppia, in questo caso, fatto proprio di qualsiasi cosa ti venga in mente, di stoppa, di stoffa o di stoppino (ed ecco che è già iniziato il cammino lietamente maniacale del riverbero enciclopedico) non solo non disturba, ma funziona benissimo. In questa non-mostra, tramata di stregati castelli in aria o sottomarini, spiritici o mistici, tutto purché non gelidamente, igienicamente museale. Te lo spiega bene un signore curioso, che pare uno gnomo cresciuto in un film di Tim Burton e scattato fuori da un automat dadà, che ha fatto (ma è difficile capire bene che cosa esattamente, in senso ovviamente felice e libero del termine, anche perché ha un’aria soddisfatta) anzi si è dedicato, in ordine sparso, a far l’operatore musicale, il produttore e sceneggiatore cinematografico, il documentarista, il curatore museale a Le Singulier des Arts, nel Musée d’Art Moderne de la Ville de Paris, e poi, elettivamente, soltanto il collezionista “fou” dell’Art Brut. Aprendo a Londra una sorprendente «occasione espositiva» che si chiama The Museum of Everyting. Letteralmente: Il Museo di Ogni Cosa, di Tutto. Che è ovviamente un paradosso borgesiano: perché se il Museo, per definizione antica, dovrebbe ingabbiare nell’eternità solo i capolavori che son degni d’essere protetti e tramandati, separando il grano dal loglio, qui c’è tutto e di tutto, invece: il grano, il frumento, la stoppia, il loglio ed anche l’olio.
E così James Brett, questo signore eccentrico, che ha trasferito al Lingotto il suo museo, come se si imprestasse una poltroncina al vicino di casa, che ha un esubero improvviso d’ospiti (ed è lì che se lo rigoverna con gusto goloso, come un intruglio esotico, insieme a una truppa affiatata di collaboratori, che montano e smontano) ti si magnetizza davanti con un turbante di pelliccia, stile Atatürk, e, quasi avesse di fronte a sé tutta la vita e t’intromettesse in una fiaba, prende a raccontarti affabile. Di quella volta che ha trovato un pezzo strano di legno, misteriosamente manipolato, che lo ha attratto come un magnete e da allora la sua vita è cambiata. Come è successo a tanti medici o intellettuali, che incocciando l’opera auto-didatta di un folle o di un carcerato, d’un bambino-medium o di una domestica schnitzleriana del Kaiser, hanno scoperto via via quale immenso serbatoio di verità e d’intensità cova sotto questa pre-arte, che non è giusto ingabbiare nelle etichette di comodo strangolanti, che si vogliano chiamare Art Brut o Outsider Art, Arte Folk o non-arte di ispirati e autodidatti (che lavorano spesso sotto l’impulso medianico di forze superiori, o di pulsioni maniacali. Senza sapere che sono esistiti né Michelangelo, né Picasso, né il Doganiere Rousseau: loro santo protettore, pur senza aureola). Appunto, il “caso” clinico ma meravigliosamente fecondo, di Aloïse, istitutrice e governante che s’innamora follemente di Guglielmo II e sprofonda sempre più maestosamente nella schizofrenia, riempiendo segretamente fogli su fogli di vescovi e ciambellani, principi e ministri (che ha servito nella realtà della sua vita ancillare, ma ri-arieggiato e rimbombato nella sua creatività. Che per fortuna non sapeva di essere arte). Perché è questo il vero segreto: l’inconsapevolezza, ti ricorda anche James Brett, il quale pur abitando in una piccola casa londinese ha cominciato a stipare pareti e stipiti, armadi e anfratti, con capolavori della semplicità e della dedizione naïf. Sfruttando gioco-forza soffitti, scale, angoli ciechi.
«L’idea del museo m’è venuta quel giorno che ho letto sul The Guardian la storia d’un curioso eccentrico di 85 anni, che è sempre vissuto nell’isola di Wight, e ha incominciato a raccogliere tutto quello che gli capitava a tiro: dalle leve di mungitrice, ai tappi usati, all’artiglio di uccelli estinti». Esattamente come il nostro Guatelli, dalle parti di Ozzano Taro. «Si chiamava Brett, come me, l’ho chiamato e gli ho chiesto se potevo usare anch’io il titolo del suo Museo di Tutto». Confessa oggi: «Forse era sordo, mi ha detto di sì. Ora siamo diventati amici». L’idea d’invitare Brett a Torino è venuta a Ginevra Elkann, quando si è imbattuta in questa atipica collezione alla Fiera di Frieze, e le è apparsa come un’avventura «sorprendente, costituita di opere inaspettate e di forte impatto emozionale». Ha chiesto a un curatore-complice come Paolo Colombo, di trascegliere alcune opere-campione significative, e lui ha avuto la cura di non museificarle: «L’errore è di leggerle solo dal punto di vista estetico, tradendole. Sono opere chiuse in se stesse, che ad un tratto prendono a vorticare come macchine, che girano sul proprio asse a velocità sempre crescente». Non lo può dire lui, che è un curatore ufficiale. Ma non c’è dubbio che c’è molta più verità e intensità e sangue intellettuale in un trattino di Oskar Tschirtner, che in mille maestri della Minimal Art. Nei folli datari ossessivi di giorni maledetti di George Widener, che non nelle targhette asettiche ed inespressive del miliardario-concettuale On Kawara.
L'EVENTOThe Museum of Everything, mostra realizzata grazie al sostegno della Compagnia di San Paolo (sponsor Terna e Piombo), sarà aperta fino al 29 agosto alla Pinacoteca Giovanni e Marella Agnelli, via Nizza 230, nel complesso del Lingotto. Biglietti d’ingresso: 7 euro intero, 6 euro ridotto e gruppi, 3,50 euro scuole e bambini da 6 a 12 anni. È possibile prenotare visite guidate. La biglietteria è all’ingresso della Pinacoteca al livello della pista del Lingotto, al 4° piano. Orari: dalle 10 alle 19 da martedì a domenica. Chiuso il lunedì. Info: 011/0062713; www.pinacoteca-agnelli.it; www.musevery.com. (catalogo Electa)
FONTE: Marco Vallora (lastampa.it)
Perché il troppo che stroppia, in questo caso, fatto proprio di qualsiasi cosa ti venga in mente, di stoppa, di stoffa o di stoppino (ed ecco che è già iniziato il cammino lietamente maniacale del riverbero enciclopedico) non solo non disturba, ma funziona benissimo. In questa non-mostra, tramata di stregati castelli in aria o sottomarini, spiritici o mistici, tutto purché non gelidamente, igienicamente museale. Te lo spiega bene un signore curioso, che pare uno gnomo cresciuto in un film di Tim Burton e scattato fuori da un automat dadà, che ha fatto (ma è difficile capire bene che cosa esattamente, in senso ovviamente felice e libero del termine, anche perché ha un’aria soddisfatta) anzi si è dedicato, in ordine sparso, a far l’operatore musicale, il produttore e sceneggiatore cinematografico, il documentarista, il curatore museale a Le Singulier des Arts, nel Musée d’Art Moderne de la Ville de Paris, e poi, elettivamente, soltanto il collezionista “fou” dell’Art Brut. Aprendo a Londra una sorprendente «occasione espositiva» che si chiama The Museum of Everyting. Letteralmente: Il Museo di Ogni Cosa, di Tutto. Che è ovviamente un paradosso borgesiano: perché se il Museo, per definizione antica, dovrebbe ingabbiare nell’eternità solo i capolavori che son degni d’essere protetti e tramandati, separando il grano dal loglio, qui c’è tutto e di tutto, invece: il grano, il frumento, la stoppia, il loglio ed anche l’olio.
E così James Brett, questo signore eccentrico, che ha trasferito al Lingotto il suo museo, come se si imprestasse una poltroncina al vicino di casa, che ha un esubero improvviso d’ospiti (ed è lì che se lo rigoverna con gusto goloso, come un intruglio esotico, insieme a una truppa affiatata di collaboratori, che montano e smontano) ti si magnetizza davanti con un turbante di pelliccia, stile Atatürk, e, quasi avesse di fronte a sé tutta la vita e t’intromettesse in una fiaba, prende a raccontarti affabile. Di quella volta che ha trovato un pezzo strano di legno, misteriosamente manipolato, che lo ha attratto come un magnete e da allora la sua vita è cambiata. Come è successo a tanti medici o intellettuali, che incocciando l’opera auto-didatta di un folle o di un carcerato, d’un bambino-medium o di una domestica schnitzleriana del Kaiser, hanno scoperto via via quale immenso serbatoio di verità e d’intensità cova sotto questa pre-arte, che non è giusto ingabbiare nelle etichette di comodo strangolanti, che si vogliano chiamare Art Brut o Outsider Art, Arte Folk o non-arte di ispirati e autodidatti (che lavorano spesso sotto l’impulso medianico di forze superiori, o di pulsioni maniacali. Senza sapere che sono esistiti né Michelangelo, né Picasso, né il Doganiere Rousseau: loro santo protettore, pur senza aureola). Appunto, il “caso” clinico ma meravigliosamente fecondo, di Aloïse, istitutrice e governante che s’innamora follemente di Guglielmo II e sprofonda sempre più maestosamente nella schizofrenia, riempiendo segretamente fogli su fogli di vescovi e ciambellani, principi e ministri (che ha servito nella realtà della sua vita ancillare, ma ri-arieggiato e rimbombato nella sua creatività. Che per fortuna non sapeva di essere arte). Perché è questo il vero segreto: l’inconsapevolezza, ti ricorda anche James Brett, il quale pur abitando in una piccola casa londinese ha cominciato a stipare pareti e stipiti, armadi e anfratti, con capolavori della semplicità e della dedizione naïf. Sfruttando gioco-forza soffitti, scale, angoli ciechi.
«L’idea del museo m’è venuta quel giorno che ho letto sul The Guardian la storia d’un curioso eccentrico di 85 anni, che è sempre vissuto nell’isola di Wight, e ha incominciato a raccogliere tutto quello che gli capitava a tiro: dalle leve di mungitrice, ai tappi usati, all’artiglio di uccelli estinti». Esattamente come il nostro Guatelli, dalle parti di Ozzano Taro. «Si chiamava Brett, come me, l’ho chiamato e gli ho chiesto se potevo usare anch’io il titolo del suo Museo di Tutto». Confessa oggi: «Forse era sordo, mi ha detto di sì. Ora siamo diventati amici». L’idea d’invitare Brett a Torino è venuta a Ginevra Elkann, quando si è imbattuta in questa atipica collezione alla Fiera di Frieze, e le è apparsa come un’avventura «sorprendente, costituita di opere inaspettate e di forte impatto emozionale». Ha chiesto a un curatore-complice come Paolo Colombo, di trascegliere alcune opere-campione significative, e lui ha avuto la cura di non museificarle: «L’errore è di leggerle solo dal punto di vista estetico, tradendole. Sono opere chiuse in se stesse, che ad un tratto prendono a vorticare come macchine, che girano sul proprio asse a velocità sempre crescente». Non lo può dire lui, che è un curatore ufficiale. Ma non c’è dubbio che c’è molta più verità e intensità e sangue intellettuale in un trattino di Oskar Tschirtner, che in mille maestri della Minimal Art. Nei folli datari ossessivi di giorni maledetti di George Widener, che non nelle targhette asettiche ed inespressive del miliardario-concettuale On Kawara.
L'EVENTOThe Museum of Everything, mostra realizzata grazie al sostegno della Compagnia di San Paolo (sponsor Terna e Piombo), sarà aperta fino al 29 agosto alla Pinacoteca Giovanni e Marella Agnelli, via Nizza 230, nel complesso del Lingotto. Biglietti d’ingresso: 7 euro intero, 6 euro ridotto e gruppi, 3,50 euro scuole e bambini da 6 a 12 anni. È possibile prenotare visite guidate. La biglietteria è all’ingresso della Pinacoteca al livello della pista del Lingotto, al 4° piano. Orari: dalle 10 alle 19 da martedì a domenica. Chiuso il lunedì. Info: 011/0062713; www.pinacoteca-agnelli.it; www.musevery.com. (catalogo Electa)
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