mercoledì 21 marzo 2012

L'autoritratto di Leonardo sarà restaurato a Roma


Il disegno, conservato alla Biblioteca reale di Torino, è stato portato nella capitale per essere sottoposto alle numerose indagini. A decidere sarà un convegno a giugno


Ispezione dettagliata della morfologia della superficie, mapparne le macchie, accertare la presenza sull'opera di minerali, verificare eventuali sorprese nel recto del foglio. 

Questi i principali obiettivi delle analisi effettuate dall'Istituto centrale per il restauro e la conservazione del patrimonio archivistico e librario di Roma che hanno analizzato l'autoritratto del più noto maestro rinascimentale italiano, Leonardo. I risultati delle indagini sono stati anticipati questa mattina presso l'istituto alla presenza, tra gli altri, del segretario generale ministero dei Beni e le attività culturali, Antonia Pasqua Recchia, del direttore del Icrcpal, istituto centrale per il restauro e la conservazione del patrimonio archivistico e librario, Maria Cristina Misiti, e del comandante generale dei carabinieri per la tutela del patrimonio culturale, Pasquale Muggeo. 

Lo studio, conclusosi dopo circa un mese, ha puntato a individuare lo stato di salute dell'opera. Biologi e chimici che hanno indagato ogni millimetro del disegno eseguito con la sanguigna costituita da ematite, sono stati anche impegnati nell'analisi sulla sua provenienza e a studiare il tratto del genio leonardesco. 

Questo grazie alla collaborazione tra l'istituto, la direzione regionale del Piemonte per i Beni culturali, il Politecnico di Torino il Consorzio 'La Venaria reale', il disegno ha lasciato il Piemonte ed è stato portato nella capitale per essere sottoposto alle numerose indagini. "Stando a quanto emerso dalle analisi - ha  
spiegato Misiti  - l'opera risulta "malata". Il lavoro di Leonardo presenta, infatti, diffuse macchie di foxing come un morbillo, che rappresentano la principale ipoteca sulla sua conservazione". Attraverso la spettrometria da fluorescenza X sono stati, invece, riscontrati particolari segni di colature, mentre le analisi biologiche hanno evidenziato la presenza di spore di muffe. "E' emerso come primo risultato - ha aggiunto il direttore dell'istituto - la necessità di sottoporre il disegno a un'operazione di pulitura e a un eventuale intervento chimico di riduzione. Questo procedimento consentirebbe di agire su due fronti diversi: da una parte arrestare il processo degenerativo, dall'altra rendere meno debole il supporto cartaceo che conserva il ritratto". 

La decisione finale spetta però alla comunità di scienziati, restauratori, storici dell'arte e conservatori delle più importanti raccolte grafiche del mondo che il 25 e il 26 giugno si riuniranno a Roma in un workshop internazionale organizzato dall'Icrcpal e dal centro universitario europeo per i beni culturali.
"Questo lavoro dimostra - ha detto Recchia - l'eccellenza tecnica, scientifica e metodologica dell'istituto, all'avanguardia in operazioni così complesse. Il coinvolgimento della comunità scientifica internazionale nelle decisioni finali denota una scelta di grande significato. Questo centro è in grado di restaurare il meglio del meglio che c'è nel mondo. Qui si sono restaurate le lettere di Aldo Moro".

FONTE: repubblica.it

lunedì 19 marzo 2012

Sorolla, il Monet andaluso che creava nella casa giardino



A Ferrara a Palazzo dei Diamanti pr la prima volta in Italia una mostra racconta il talento di Joaquín Sorolla, l'impressionista spagnolo che dipingeva nel suo giardino di Madrid ispirato all'Alhambra di Granada e all'Alcazar di Siviglia


FERRARA - "Si può essere felici solo se si è pittori". Lo ripeteva sempre ai propri figli, Joaquín Sorolla, rimarcando il piacere che traeva dal dipingere, "un piacere non disgiunto da patimenti, dato il suo particolare modo di intendere l'arte: si doveva lavorare en plein air, dal vero, e nei luoghi che si intendeva rappresentare. Diversamente, la pittura gli pareva un inganno". E' questa l'intima verità del pittore spagnolo (1863-1923), nato a Valencia, protagonista della Belle Époque madrilena, così come viene ricordato da Blanca Pons-Sorolla, che ha curato, insieme a Tomàs Llorens, María López Fernández e Boye Llorens, la prima retrospettiva italiana "Sorolla. Giardini di luce", ospitata a Palazzo dei Diamanti dal 17 marzo al 17 giugno.

Un titolo che condensa la personalità artistica di Sorolla, che ha cavalcato l'euforia rivoluzionaria della pittura impressionista, per varcare quella sottile linea rossa che separa la realtà dal simbolismo. Così, i suoi prorompenti colori che traducevano velocemente sulla tela gli umori della natura, presto diventarono lo strumento per esprimere la sua sensibilità simbolista verso quello spettacolo naturale che amava indagare con un piglio introspettivo. Sorolla è pittore dallo stile raffinato e spavaldo, tanto da essere accostato a personalità come Boldini o Sargent, eppure certi suoi vezzi e passioni lo avvicinano a Monet.

La mostra, organizzata in collaborazione con il Patronato de l'Alhambra y Generalife di Granada, il Museo Sorolla e la Fundación Museo Sorolla di Madrid, vuole infatti svelare un momento particolare della sua carriera, la maturità di una ricerca rivolta al tema del giardino e della sua adorata Andalusia. Se Monet costruì il suo giardino di ninfee a Giverny sulla scia di una fascinazione anche per il Giappone, inserendo nel suo buen retiro ponticelli, piante e decorazioni dal sapore orientale, Sorolla portò nel suo giardino-atelier di Madrid, le suggestioni regalategli dai suoi viaggi in Andalusia, tant'è che concepì quel luogo sul modello degli angoli verdi di Siviglia e Granada, arrivando perfino ad importare dall'Andalusia fontane, ceramiche, alberi da frutto e piante ornamentali. 

La mostra racconta questa fase della sua parabola creativa, forse lontana dal clamore degli incarichi ufficiali (come i ritratti dei reali). Sorolla scoprì l'Andalusia soggiornandovi tra il 1908 e il 1918 e il percorso vuole rievocare le tappe dell'incontro con questa terra che segnerà il passaggio dal naturalismo a vsioni liriche dalle forti risonanze simboliste, che tenta di allontanari dalla retoica del folklore locale. Il rischio è sempre dietro l'angolo, perché i soggetti prediletti da Sorolla sono i patii e i giardini islamici dell'Alhambra di Granada e dell'Alcázar di Siviglia, come dimostra la straordinaria serie di dipinti, che ammiccano con grazia all'anima affascinante di questi luoghi. 

"I ripetuti soggiorni a Siviglia e Granada permettono a Sorolla di penetrare l'essenza più autentica dell'Andalusia la cui segreta magia risiede, come egli stesso dichiara, 'nel piccolo, come avviene per quasi tutto ciò che è orientale'- avverte la curatrice - Il patio islamico, intimo e circoscritto, è il tema più paradigmatico dei suoi dipinti realizzati in quella regione: l'artista esalta la suggestione di quegli spazi consacrati alla concentrazione e le loro architetture cristalline, riducendo all'essenziale il vocabolario della sua pittura che diviene straordinariamente evocativo". Nessuna figura umana, ma architetture, marmi, ceramiche, gli "azulejos", le fontane. Viaggi e soggiorni che culmineranno nella sua casa-giardino, dove nasceranno le sue opere più belle. 

Notizie utili - "Sorolla. Giardini di luce", dal 17 marzo al 17 giugno 2012, Palazzo dei Diamanti 
Corso Ercole I d'Este, 21. Ferrara
tel.             0532 244949      
Orari: tutti i giorni, 9-19
Ingresso: Intero: € 10,00 Ridotto: € 8,50
Catalogo: Ferrara Arte Editore 

FONTE: Laura Larcan

mercoledì 14 marzo 2012

Quel Dalí "all'italiana" che sognava Anna Magnani



A Roma, Complesso del Vittoriano, una rassegna racconta l'universo dell'artista spagnolo. Tra ossessioni, sogni e immagini-feticcio, si scopre anche il rapporto con il nostro Paese, da Luchino Visconti, ai mostri di Bomarzo a Fellini


Figura dalla smisurata complessità creativa, sempre in bilico sul baratro dell'eccentricità, Salvador Dalí è artista difficile da restituire con una mostra, dove il rischio di cadere nel divertissement del kitsch e nella superficialità interpretativa delle sue immagini-feticcio, oltre alle tante opere di tono minore che sovente girano per gli eventi espositivi, è in agguato. Ora ci prova
il Complesso del Vittoriano che dal 6 marzo al 1° luglio propone "Dalí. Un artista, un genio", rassegna che tenta di raccontare la monumentale personalità dell'artista spagnolo con una retrospettiva bulimica di quadri, disegni, documenti vari, tante fotografie e memorabilia di filmati, lettere e oggetti di design, insomma un caravanserraglio che echeggia sogni e ossessioni, paranoie e bizzarrie, provando a indagare il capitolo inedito dei rapporti con l'Italia.  
Sotto la cura di Montse Aguer, direttrice del Centro per gli studi daliniani alla Fundació Gala-Salvador Dalí, e Lea Mattarella, la mostra raccoglie i contributi di varie istituzioni culturali, tra cui anche il Walt Disney Animation Studios di Burbank. Che Dalì avesse fatto di se stesso un'opera d'arte, lo dimostra subito il percorso, montando una sezione introduttiva sul portentoso surrealista di Figueras (1904-89) con gli scatti-ritratto del russo-americano Philippe Halsman che ne immortalano con arguta ironia le pose teatrali, i vezzi estetici, i travestimenti, gli sguardi spiritati e carismatici. Cresciuto alla Scuola di Belle Arti di Madrid, sotto la luce di Bunuel e Garcia Lorca, e maturato a Parigi, nel 1928, in compagnia di Breton, Mirò, Picasso, Dalí divenne il guru di una personalissima chiave pittorica basata sul "metodo paranoico-critico", dove l'influenza della psicanalisi freudiana si traduce in immagini ossessive di forte carica illusionistica che vagheggiano deliri di castrazione, voyeurismo, coprofilia, impotenza, sul filo rosso della presenza femminile di Gala, moglie (dal '29), modella e musa. 

E la mostra cavalca questo gioco della teatralizzazione proponendo installazioni sonore con la vera voce di Dalí. Futilità a parte, il percorso apre con i riferimenti all'antico, da Raffaello, con cui si inizia (il quadro più antico di questa rassegna è proprio il giovanile "Autoritratto con il
collo di Raffaello" del 1921) a Michelangelo con cui idealmente si chiude, con le immagini ispirate alla Pietà vaticana e al Giorno e la Notte delle Cappelle Medicee a Firenze. E c'è anche il curioso foglio autografo, dove l'artista dà le votazioni allo stile, colore, invenzione, disegno dei grandi artisti del passato e inserisce anche il suo nome tra questi. Si passa, poi, ad una manciata di grandi
quadri che evocano la sua ricerca, dalla giovanile foga per Cézanne e le sue Bagnanti, alla fase realista con "Ritratto di ragazza" del 1925, alla sperimentazione del surrealismo tra il primo e il secondo viaggio a Parigi dove scopre De Chirico e Picasso, la metafisica e il cubismo. 

E si entra nel suo universo parallelo, dal 1931, fatto di paesaggi misteriosi desertici, infestati di orologi molli che non segnano un tempo reale, apparizioni di figure figlie più di un capriccio onirico che della realtà, di rocce metamorfizzate, di frammenti di corpi come fossili preistorici su cui compaiono concrezioni materiche di ogni tipo. E si chiude con l'indagine ravvicinata sulla sua relazione con l'Italia, rievocando a suon di documenti e fotografie, i suoi viaggi tra Roma, Venezia e Bomarzo (sarà un grande appassionato del Giadino dei Mostri), le suggestioni per l'estetica di Valori Plastici, le amicizie e le collaborazioni con registi, attori, industriali. 

Tanti i nomi illustri. Da Luchino Visconti per una messa in scena di Rosalinda o come vi piace di Shakespeare al Teatro Eliseo nel 1948 (tra fotografie d'epoca, un album che apparteneva a Visconti, documenti vari, lettere e un paio di costumi originali). Fu designer per Alessi e Rosso Antico, scenografo per i balletti alla Fenice di Venezia. E con Anna Magnani sognava di realizzare un film intitolato "La carrettila de carne", "la vera storia di una donna paranoica innamorata di una carriola". A Federico Fellini Gala propose di fare un film su Dalí.  E le performance, come quando, in occasione dell'esposizione a Palazzo Rospigliosi, muore simbolicamente per poi rinascere in un cubo metafisico. Epilogo, la Vespa della Piaggio su cui Dalí è intervenuto nel 1962.

Notizie utili - "Dalí. Un artista, un genio", dal 6 marzo al 1° luglio 2012, il Complesso del Vittoriano, Via San Pietro in Carcere, Roma
Orari: lunedì al giovedì 9.30  -  19.30, venerdì e sabato 9.30  -  23.30, domenica 9.30  -  20.30
Ingresso: € 12,50 intero; € 9,00 ridotto
Informazioni: tel. 06/6780664
Catalogo: Skira, Milano

FONTE: Laura Larcan (repubblica.it) 

mercoledì 7 marzo 2012

Le ceramiche di Chini, inno alla natura

A Villa Badoer un’antologica dell’artista fiorentino


Nessuno è profeta in patria, tantomeno gli artisti. E così un protagonista del nostro Liberty come Galileo Chini, che tra Otto e Novecento aveva esposto a Parigi, Londra, San Pietroburgo e nel 1911-1914 era stato chiamato addirittura in Siam, perché il re Chulalongkorn (non è colpa nostra, si chiamava così) Rama V voleva fargli decorare il Palazzo del Trono a Bangkok, in Italia è stato a lungo dimenticato. Si è cominciato negli Anni Ottanta a riscoprirlo, e in un senso non solo metaforico perché in quel periodo sono stati riportati in luce i suoi affreschi nel Padiglione Italia al Lido di Venezia, eseguiti nel 1909 e malauguratamente ricoperti da una struttura di Gio Ponti nel 1928. Chini (Firenze 1873-1956) è stato, oltre che pittore, un grande creatore di vasi, come dimostra l’antologica «Galileo Chini. La luce della ceramica», collegata alla mostra del divisionismo a Rovigo, e curata sempre da Francesca Cagianelli e Dario Matteoni nella palladiana Villa Badoer di Fratta Polesine. Rimasto orfano di padre quando era ancora bambino, Chini aveva iniziato a lavorare con lo zio, che aveva una bottega di affrescatore. A diciassette anni si era iscritto all'Accademia di Firenze, dove aveva conosciuto Nomellini e Signorini, e a cavallo del secolo aveva fondato due laboratori di ceramica, «L'Arte della Ceramica» e le «Fornaci di San Lorenzo», che sono una delle ultime esperienze dell’artigianato artistico prima dell’avvento del design. Come aveva confidato a Sem Benelli (il famoso commediografo con cui collaborerà nella Cena delle beffe), il suo intento quando decorava vasi e piatti era quello di rivelare «i segreti di tutte le forme che vediamo continuamente». Voleva, diceva anche, che bevendo da una sua coppa avessimo l'impressione di accostare le labbra alle corolle dei fiori, alle bacche, alle foglie.

Per la verità, osservando le sue rose che sbocciano nel blu profondo della maiolica, o le sue foglie dorate che si avviluppano mollemente alle rotondità di un’anfora, non pensiamo subito alla natura. E fin qui niente di strano. L’arte ha più significati della realtà: per questo, come qualcuno ha scritto, se guardiamo la campagna romana ci viene in mente Corot, ma se guardiamo Corot non ci viene in mente la campagna romana. Eppure, se continuiamo a osservare quel fiorire di petali, rami, penne di pavone, girali d'acanto, o quella processione di pigne, pesci, melograni e orchidee, il pensiero della natura ci riassale con prepotenza. In un senso diverso, però, da quello che si augurava l’artista. Il fatto è che quei maggiolini che si posano sulla superficie delle maioliche, quei rami fioriti che si incurvano sulle pareti dei vasi: quell’inno alla natura, insomma, proclamato all’inizio di un secolo che invece la natura avrebbe fatto di tutto per mortificarla, se non per distruggerla, ha i caratteri inconsapevoli di un congedo. Certo, gli storici dell’arte individuano doverosamente in Chini le inquiete declinazioni dello stile: gli influssi secessionisti, il trapasso dal Liberty al Déco, il successivo recupero dei motivi classici, che del resto non aveva mai abbandonato. Tuttavia quello che più coinvolge e commuove nella mostra non è lo stile dell’artista, pur così sapiente, ma il suo gioioso e malinconico omaggio alla natura. Quasi a risarcirla, in anticipo, per quello che le avremmo inflitto dopo.

GALILEO CHINI. LA LUCE DELLA CERAMICA
FRATTA POLESINE, VILLA BADOER
FINO AL 24 GIUGNO

lunedì 5 marzo 2012

La pittura al femminile in Sicilia Cent'anni raccontati da Dacia Maraini



A Palermo, il Reale Albergo delle Povere accoglie la prima vera mostra organica sulle donne artiste nell'isola. Madrina d'eccezione, la scrittrice che svela anche l'intensità della mamma, la pittrice Topazia Alliata, allieva di Guttuso


"Nell'arte si dà per scontato che le donne siano una categoria umana inferiore per storia e tradizione consacrata. Nessuno si è dato la briga di andare a vedere, a studiare, ad approfondire questi dipinti, dando per scontato che essendo di mano femminile, sia in partenza arte marginale, trascurabile, infantile, primitiva, irrilevante. Ma questo si chiama pregiudizio. Sentimento che si trasforma facilmente in discriminazione. Discriminazione da pregiudizio". Dacia Maraini non ha dubbi nel sostenere questa tesi, e, anzi, nel pronunciarla lascia cogliere nella voce un pizzico di rancoroso fastidio. Per questo ha voluto seguire da vicino l'organizzazione della prima mostra veramente organica sulle donne artiste, "Arte Donna. Cento anni di pittura femminile in Sicilia, 1850-1950", in scena fino al 25 aprile al Reale Albergo delle Povere di Palermo, promossa dalla Regione Sicilia. 
Una rassegna inedita che attraverso duecento opere da collezioni pubbliche e private indaga trentatré personalità siciliane e "straniere", che hanno scelto l'isola per vivere e creare. La mostra accoglie infatti anche alcune artiste nate o attive nel secondo dopoguerra, concludendosi con un giusto omaggio a colei che apre un nuovo capitolo della storia dell'arte contemporanea, Carla Accardi, che intraprende il suo viaggio di conquista di gallerie e mercati del Nord. 

"Quando mi hanno proposto questo progetto coordinato dalla studiosa Anna Maria Ruta l'ho trovato subito giusto e calzante - racconta la scrittrice - Le donne già devono subire discriminazioni in tanti campi, ma nelle arti visive la penalizzazione è ancora più forte, perché nell'arte è innegabile, domina ancora una supremazia maschile". Dacia Maraini è risoluta: "Questa mostra lascia emergere come le donne abbiano la qualità degli esclusi. Tutti coloro che sono stati esclusi per secoli hanno sviluppato un'indole particolarmente combattiva. E per le donne che riescono a farsi valere non si può discutere del loro valore". 

Come scrive nella prefazione del catalogo della mostra Dacia Maraini pensa alle figure "intense ed espressive di Lia Pasqualino, al nitore del tratto di Ida Nasini, ai soffusi paesaggi di Teresa Tripoli, alle rapide pennellate impressioniste di Maria Giarrizzo, all'esistenzialismo ante litteram di Maria Grazia Di Giorgio, ai fosforescenti colori utrilliani di Emma Giarrizzo, alle invenzioni futuriste di Benedetta e di Adele Gloria, ai tratti morbidi e lucidi di Elena Pirrone". 

Ma la Maraini pensa soprattutto a Topazia Alliata, la mamma. "Ci sono anche i quadri di mia madre in mostra. Aveva la qualità di essere vicino alla realtà. Dipingeva paesaggi e ritratti con intensità poetica. E' stata allieva di Guttuso, e c'è sempre qualcosa di Guttuso nei suoi temi, che sono la Sicilia e la loro adorata Bagheria. Ha rinunciato alla pittura quando sono nate le figlie. Ha scelto la famiglia. All'arte si è dedicata più tardi come gallerista. Ha sofferto di questa scelta, ma non ha mai recriminato nulla. Ha avuto una vita piena. In fondo, queste donne artiste erano femministe nel senso pratico della vita, ma non sarebbero state d'accordo con le teorie dei movimenti femministi di oggi. Non apparteneva loro uno spirito di rivendicazionismo. Forse per questo sono state dimenticate, e val la pena oggi che il loro lavoro sia riconosciuto". 

E in questo viaggio nella storia dell'arte al femminile, sfilano anche la giapponese O'Tama Kiyohara, Adelaide Atramblè e Herta Schaeffer Amorelli. Donne dal piglio forte, che hanno saputo rivendicare, una volta approdate a Palermo, le loro qualità e le loro passioni, la loro indipendenza e sicurezza.

Notizie utili - "Arte Donna. Cento anni d'arte femminile in Sicilia 1850 - 1950", dal 25 febbraio al 25 aprile 2012, Reale Albergo delle Povere, Corso Calatafimi 217, Palermo. 
Orari: martedì-sabato 9 - 13 / 15 - 19, domenica 9 - 13,  lunedì chiuso.
Informazioni: tel.091-6398011.
Catalogo: Edizioni di Passaggio di Palermo