lunedì 31 ottobre 2011

DNA.italia: tecnologia, cultura e economia per il patrimonio

Dal 3 al 5 novembre, verrà presentato al Lingotto di Torino, il primo marketplace per la tutela e la valorizzazione del Patrimonio Culturale

Perché DNA.italia

L’Italia ha un Patrimonio inestimabile per valore, notorietà e varietà, capace di produrre sviluppo e ricchezza: i beni culturali e le molteplici attività connesse alla loro valorizzazione costituiscono una filiera complessa, che incide in maniera significativa sull’intera economia.
Lo conferma lo studio realizzato dall’Istituto Guglielmo Tagliacarne (ufficio studi di Unioncamere) e dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, da cui emerge che le varie attività legate al comparto producono un valore aggiunto di circa 167 miliardi di euro (12,7% del totale nazionale), assorbono 3,8 milioni di occupati (15,4% del totale nazionale) e contano – oltre agli operatori pubblici - circa 900.000 imprese. Inoltre, per ogni 100 euro di incremento del PIL nel settore culturale vengono attivati 249 euro di PIL nel sistema economico generale.
Per questo motivo è nato DNA.italia: non una fiera, non un salone ma un marketplace strategico. Con un obiettivo: far nascere sinergie tra imprese, progettisti, finanza, istituzioni e associazioni che operano nel settore dei beni culturali.
Alla base, la consapevolezza che il nostro patrimonio culturale sia il viatico capace di valorizzare un ampio indotto.


DNA.italia è un evento unico e innovativo, perché:

  • Perché supera la “casualità” delle relazioni e dei rapporti che nascono nell’ambito delle tradizionali fiere e dei saloni dedicati ai beni culturali; è infatti un luogo di incontri B2B preorganizzati, quindi un vero e proprio marketplace
  • Non si limita al momento espositivo, ma offre opportunità e servizi personalizzati in base alle specifiche esigenze dei partecipanti
  • È un progetto itinerante, che si svolge ogni anno in una città diversa, percorrendo la penisola da Nord a Sud, per valorizzare le eccellenze imprenditoriali locali e cogliere le opportunità offerte dal territorio
  • È un aggregato di iniziative, un progetto strutturato che dura 365 giorni l’anno attraverso incontri, convegni, presentazioni e i DNA Forum, che si svolgono nell’arco di 12 mesi 
  • Grazie ad una combinazione vincente di momenti espositivi, convegni, workshop, comunicazione e utilizzo del web come strumento di matching, crea opportunità di business e offre grande visibilità a tutti gli operatori del settore
  • Offre ampio spazio alle start-up e spin off tecnologiche, uno dei pochi ambiti in cui è possibile, per i giovani, fare impresa e sviluppare progetti innovativi e potenzialmente interessanti per i grandi player
  • Punta sull’innovazione, dando ampia visibilità alle tecnologie, ai prodotti e ai progetti in grado di valorizzare il patrimonio culturale, stimolando anche il confronto e le sinergie a livello internazionale
  • Intende mostrare come la Cultura e il Patrimonio non siano unicamente strumenti necessari per la crescita personale ma siano strategici allo sviluppo sociale ed economico di un territorio
  • Il sito www.dnaitalia.eu non vuole essere una semplice vetrina di informazioni ma diventare uno strumento operativo, luogo di fertile scambio di informazioni e opinioni, laboratorio multimediale di idee e contenuti


Le Macro-Aree della filiera

PROGETTO

Metodi e soluzioni / Contaminazioni / Design e Re-design / Le diverse scale di intervento

CONOSCENZA
Diagnostica e datazione / Monitoraggio / Analisi e prevenzione dei rischi (statico-strutturali, ambientali, antropici e materiali) / Rilievo / Ricostruzione virtuale e 3D / Digital Imaging

RECUPERO E CONSERVAZIONE
Conservazione di beni architettonici, artistici, archeologici / Riqualificazione funzionale ed energetica dell’edilizia e dell’architettura / Consolidamento strutturale / Trattamento delle superfici / Tecnologie e materiali / Attrezzature e strumenti / Servizi / Arredo urbano / Ricostruzione artigianale dell’originale

FRUIZIONE
Digitalizzazione e catalogazione / Guide turistiche digitali / Supporti audio-video alla visita / Realtà aumentata / Sicurezza / Impiantistica / Illuminotecnica & Light design / Ambient design / Allestimenti museali / Soluzioni per disabili / Mobilità sostenibile

GESTIONE E MESSA A REDDITO
Marketing e comunicazione (dell’attrattore culturale e del territorio) / Building technology e soluzioni per il risparmio energetico / Facilities management / Messa in sicurezza degli edifici storici (sismica, antropica, furti, etc.) / Modelli di business / Formazione e addestramento del personale culturale / Software e multimedia per il turismo e la cultura / Reti digitali / Cultura e responsabilità sociale / Finanza e Credito per la cultura


Il target dei visitatori

Professionisti (designer, architetti, ingegneri, geometri, amministratori, etc.) – Imprese – Ricercatori – Università – Soprintendenze – Enti e Istituzioni pubbliche e private – Responsabili di musei, biblioteche, gallerie, fondazioni – Collezionisti – Antiquari – Proprietari e amministratori di immobili – Operatori turistici


3 temi per 3 giornate

Tre temi caratterizzano le giornate fieristiche nonché i workshop, i convegni e gli incontri b2b.

Giovedì 3. Città. Tra storia e Innovazione
Venerdì 4. Immobili e mobili. Riqualificazione, tutela e gestione del patrimonio
Sabato 5. Paesaggio. Verde e Ambiente


Tra gli Eventi Speciali

CONVEGNO NAZIONALE ANCE
CONVEGNO NAZIONALE ASSORESTAURO
Sono gli incontri organizzati all’interno di DNA.italia 2011 che vedranno la partecipazione di migliaia di tecnici della pubblica amministrazione, imprese e professionisti da tutta Italia

SMART UP. Le città intelligenti che guidano il futuro
Un percorso innovativo per comunicare le «città intelligenti» nel loro contesto di trasformazione e valorizzazione culturale. Un viaggio-racconto tra passato e futuro nell'Italia delle città che vedono nella creatività e nell'innovazione una forza vitale. 

BROKERAGE EVENT 
Camera di Commercio di Torino, partner della rete Enterprise Europe Network, organizza un evento di brokeraggio sulle tecnologie per la tutela, valorizzazione e gestione del Patrimonio Culturale. L’evento offre l’opportunità di incontrare potenziali partner per accordi di cooperazione tecnologica e/o commerciale e progetti di ricerca europei attraverso incontri bilaterali pre-organizzati. Il brokeraggio si rivolge ad aziende, università, centri di ricerca, enti interessati a condividere capacità progettuali, tecnologie e competenze volte a creare uno stretto legame tra innovazione e patrimonio culturale.




Per il programma aggiornato di tutti i convegni, i workshop e gli eventi speciali, consultare il sito www.dnaitalia.it



Ufficio stampa
Laura Della Badia dellabadia@forwardufficiostampa.it 328 61 21 832
Valentina Valente valente@forwardufficiostampa.it 347 34 16 901






FONTE: Claudia Tani (Mediaformat)

giovedì 27 ottobre 2011

Picasso a tutto tondo grande mostra sotto la Torre


Nel Palazzo Blu di Pisa,  quasi 270 opere, soprattutto grafiche, ripercorrono la carriera del fuoriclasse del Novecento, attraverso archetipi, dal Minotauro alle Metamorsofi. E spicca, per la prima volta, un raro disegno preparatorio delle Demoiselles d'Avignon


"Ho voluto essere pittore e sono diventato Picasso". E' una frase che ricorda con soddisfazione Françoise Gilot, la pittrice francese che fu compagna e "musa" di Pablo Picasso. Il padre del cubismo la disse alla madre, sfoderando una fiera consapevolezza del suo genio, compiacendosi della ferma volontà di sovvertire tutti gli schemi di pittura, scultura e grafica. E proprio questa memorabile frase viene scelta come titolo della mostra dedicata a Picasso che dal 15 ottbre al 29 gennaio va in scena a Palazzo Blu, sotto la cura di Claudia Beltramo Ceppi. Evento che nasce dalla collaborazione con il Museo Picasso di Barcellona e il Museo Picasso di Antibes e che raccoglie a Pisa circa duecentosettanta opere, a indagare tutta la caleidoscopica creatività dell'artista spagnolo. Il percorso, quindi, inanella dipinti, ceramiche, disegni e opere su carta, alcune celebri serie di litografie e acqueforti, libri e tapisserie. Tentativo di una summa di un talento universale. Chiaramente, non esaurisce il portentoso genio di Picasso, nè sfoggia i capolavori più noti e la rivoluzione cubista è solo echeggiata, lasciando più spazio al Picasso illustratore che al pittore, ma tenta di restituire comunque una panoramica a volo d'uccello sulla ricerca instancabile e bulimica di Picasso (1881-1973).


Si parte con "Dalla natura all'arte", filo rosso per raccogliere opere che danno l'idea di come Picasso, fin dall'inizio, sia riuscito a trasfigurare i suoi soggetti prediletti in archetipi della pittura contemporanea, come dimostra "Le Repas frugal" (Il Pasto frugale del 1904), patetico e poetico canto di povertà e miseria, che caratterizza il suo periodo blu. O il toro, bestia prediletta della cosmogonia picassiana, sciorinato nelle sedici lastre dei "Toros". O la suggestione dell'Arte Negra, il primitivismo che alimenta la fisicità delle sue Demoiselles d'Avignon, di cui la mostra propone un raro studio preparatorio. Una chicca. Si tratta Si tratta di "Nu aux bras levés" (1906-1907) e riproduce la figura centrale, quella con le braccia alzate. Un'essenzialità quasi "preistorica" e magica raccontata anche dalla rara serie delle due "Donne nude" con sfondo di tendaggi e in quelle di grandi e coloratissimi ritratti di Jacqueline, sua seconda moglie. 

Il fantasma della tragedia aleggia nella seconda sezione "Intorno a Guernica", che allude ad una storia contemporanea fatta di rivoluzione spagnola, bombardamento di Guernica, e seconda guerra mondiale. E i colori sembrano tradurne la cupezza: agli accesi cromatismi si traspone una tavolozza cupa di gradazioni dal nero al bianco. C'è il Picasso illustratore della serie "Sogno e menzogna di Franco", realizzata inizialmente per raccogliere fondi per combattere la dittatura, o le grandi tavole dei "Poèmes et Lithographies". E la Suite Vollard, con i suoi cento fogli intorno alla terribile e angosciosa scena della Minotauromachia. Fino a le tavole dello Chant des morts, inondate da un rinnovato colore per illustrare le poesie del poeta Reverdy. Il mito delle metamorfosi e l'immagine erotica della donna condensano la terza sezione. Qui si trovano un grande paesaggio del 1933, il famoso dipinto del Fauno proveniente dal museo di Antibes, i ritratti di Jacqueline e la serie di dipinti e disegni de "Il pittore e la modella". Appendice, il corpus di cinquantanove linogravure a colori, prestate dal Museo Picasso di Barcellona, che svelano nel dettaglio il procedimento dell'artista da una raffigurazione realistica del viso di Jacqueline, arriva alla sua trasformazione in chiave esistenziale.



Notizie utili - "Picasso. Ho voluto essere pittore e sono diventato Picasso", dal 15 ottobre 2011 al 29 gennaio 2012, Palazzo Blu, Lungarno Gambacorti 9, Pisa.


Orari: lunedì  -  venerdi, 10-19; sabato e domenica, 10-20.
Ingresso: intero €9, ridotto €7,50.
Informazioni: tel. 050.916950
Catalogo: GAmm Giunti

mercoledì 26 ottobre 2011

Palazzo Sciarra, Michelangelo e Raffaello un confronto in 180 opere


IL periodo della vita di Michelangelo, da papa Giulio II a Clemente VII, quando a Roma lavorano pure Raffaello, Perin del Vaga, Sebastiano del Piombo, Salviati, Lorenzo Lotto, gli Zuccari; l’Urbe subisce il Sacco, e cambia volto; la Sistina e la Loggia della Farnesina a tre dimensioni; la copia del Giudizio michelangiolesco senza i «braghettoni»; i Fasti farnesiani e lo studio dell’antico: tutto questo è «Il Rinascimento a Roma, nel segno di Michelangelo e Raffaello», mostra di 180 opere organizzata da Mariagrazia Bernardini e Marco Bussagli per Fondazione Roma, da domani al 12 febbraio a Palazzo Sciarra. Michelangelo ritratto da Sebastiano del Piombo e Federico Zuccari; tra i Raffaello, i ritratti di se stesso, di Tommaso Inghirami e Alessandro Farnese; perfino una Pietà, restaurata ma controversa, che alcuni accreditano a Buonarroti, con la «Madonna Hertz» di Giulio Romano, e tantissimo altro ancora.

Epoca fondamentale, quella a cavallo del Concilio di Trento: la massima arte romana e del mondo. «Per questo Fondazione Roma ha voluto illustrarla; l’arte la chiamo la vera energia pulita dell’Italia: l’unica che possa dare un contributo a risolverne le crisi», dice Emmanuele Emanuele che presiede l’organismo. Del resto, Michelangelo realizza l’Apollo-Dafne, qui esposto, per l’allora comandante delle guardie del Papa; e accanto, ci saranno il Crocifisso di Oxford e la Pietà di Buffalo, capolavori ancora discussi. Nasce anche il San Pietro moderno, e ne vedremo il modello ligneo, e i disegni; e già Raffaello ispira altri autori. Roma, dice Mariagrazia Bernardini, «era il centro assoluto della produzione artistica»: Michelangelo e Raffaello le offrivano strade bellissime, ma in antitesi; la città era tutto un cantiere; si decorano Castel Sant’Angelo e Villa Madama, Trinità dei Monti e San Pietro in Montorio; si riscopre la Domus Aurea; in Vaticano, davvero un fervore. Tante opere, da tempo fuggite, ritornano per l’occasione; ne vedremo altre, di solito perfino difficili da ammirare; l’arte, dopo queste realizzazioni, non sarà più la stessa. Si apprezzeranno pure gli oggetti d’uso e le mattonelle per i pavimenti (Raffaello le disegna per le Logge). Rende il clima perfino il Ritratto di Lutero, di Lucas Cranach il Vecchio: tempi difficili, ma con un’arte davvero immensa.


FONTE: Fabio Isman (ilmessaggero.it)

lunedì 24 ottobre 2011

Rodcenko, al Palazzo delle Esposizioni un uomo per tutte le avanguardie

Infiamma ancora gli animi l’urlo di Rodcenko. Eclettico, sconfinato, Aleksandr il grande, primo artista multimediale della storia. «Il nostro dovere è quello di sperimentare» fu lo slogan che accese il fuoco dei suoi talenti. Pittura, design, teatro, cinema, giornalismo, tipografia e soprattutto fotografia. 

Sostiene Olga Sviblova, direttore della Casa della Fotografia di Mosca e carismatica curatrice della grande retrospettiva sul maestro dell’avanguardia russa del ’900 al Palazzo delle Esposizioni, da domani fino all’8 gennaio: «Rodcenko è stato un rivoluzionario dal quale abbiamo ancora molto da imparare. Ha creato, con la sua opera eccitante e dinamica, qualcosa che ha cambiato il nostro modo di pensare, non solo nella fotografia e in tutte le arti: in un decennio, dal magico 1924 alla metà degli anni 30, ha cambiato la nostra visione della vita, della società, della natura. Le sue immagini sono diventate le icone di un’epoca».

E che icone. I ritratti tramandati all’eternità di Majakovskij, della sirena Lilja Brik, della ridente Regina Lemberg, della moglie Varvara Stepanova. I celebri tagli diagonali (Gradinata del ’29), le vertiginose inquadrature verticali (Scala antincendio del ’25), la stupefacente asimmetria di Tuffatore del ’34, l’uso dello scorcio e molte altre invenzioni anticlassiche che introdussero i principi del costruttivismo nella fotografia. Insomma, il «metodo Rodcenko», che il regime sovietico gli rivoltò contro come un’arma letale per affermare il realismo socialista.

Si fanno ammirare oltre 350 immagini, tantissimi i capolavori. «E’ la prima volta», sottolinea il professor Emmanuele Emanuele, presidente di Palaexpo, promotore della rassegna con il Ministero della cultura della Federazione russa e l’Assessorato alla cultura del Comune, «che in Italia si mostra nella sua totalità e varietà il lavoro di questo straordinario e poliedrico artista».


«Fu un pioniere geniale», dice Olga Sviblova. «Avviò un dialogo tra cinema e fotografia collaborando con Eisenstein e Dziga Vertov. Fece scuola con i suoi fotomontaggi che, per lui, erano un mezzo ideale per interpretare la complessità del reale». Sì, un Maestro che lo stalinismo non poteva tollerare. Fu emarginato, poi perseguitato fino all’indigenza e alla morte nel ’56. Capita ai geni.


Aleksandr Rodcenkoa cura di Olga Sviblova
(fino all’8 gennaio)

Palazzo delle Esposizioni
Via Milano 9 A
Roma 

lunedì 17 ottobre 2011

Torna a splendere la Galleria Chigi uno dei gioielli del Quirinale

Restituita al pubblico una delle pagine più belle del barocco romano. Il recupero dopo dieci anni di lavoro. I lavori hanno portato alla luce anche alcune sorprese.

Dieci anni per riportare alla luce il tesoro del Palazzo del Quirinale. Si è concluso oggi il complesso restauro della Galleria Alessandro VII Chigi che vanta il capolavoro pittorico di Pietro da Cortona, genio portentoso del Barocco. Dopo il battesimo del presidente Giorgio Napolitano, l'apertura al pubblico è prevista dalla prossima domenica. I lavori hanno restituito la straordinaria decorazione pittorica delle pareti eseguita tra il 1655 e il 1656, mortificata dalle manomissioni volute da Napoleone quando nel 1811 ordinò al suo architetto di fiducia Raffaele Stern di segmentare la galleria di quasi settanta metri (e 700 metri quadrati) in tre sale (Gialla, Augusto, Ambasciatori) per gli appartamenti dell'imperatrice Maria Luisa. E dal cantiere sono emerse curiose sorprese come il mascherone, fiero e maestoso, sotto l'ultima finestra della sala degli Ambasciatori liberata, come le altre dodici finestre sul lato del Cortile d'Onore, dalle tamponature volute dai francesi. "Ha una forza irresistibile, a tal punto che pensiamo sia di mano di Pietro da Cortona e probabilmente un ritratto", racconta la soprintendente al polo museale romano Rossella Vodret che ha diretto la cura scientifica del restauro insieme al consigliere per la conservazione Louis Godart. 

"Dopo una perfetta alternanza di stemmi araldici della famiglia Chigi, all'improvviso compare il mascherone  - osserva Vodret - è un volto che parla. E' una testa apparentemente tratta dall'antico per la foggia dei capelli, ma i tratti del volto sono forti, propri di un ritratto. Ed è curiosa la posizione, nell'ultima sala, proprio sotto l'ultima scena del ciclo di affreschi dedicati all'Antico e Nuovo Testamento. Come se fosse una firma". Spicca, poi, la misteriosa scritta corsiva in verticale lungo lo stipite di una finestra della Sala Gialla. Si legge con difficoltà "Amato io sono qui prigioniero dentro queste mura" con la data che sembra citare il 9 gennaio 1836. Scatta subito l'enigma: com'è possibile che qualcuno abbia lasciato questo suo pensiero dopo il 1830, quando le finestre vengono murate a partire dal 1812? "Il fantasma del Quirinale", ironizza qualcuno. In realtà, gli studiosi che hanno seguito i lavori azzardano una soluzione: una tamponatura della finestra più tarda. E di nuove sfide per la Galleria Chigi parla Rossella Vodret: "I lavori continueranno sui soffitti, ora tutti ottocenteschi, ma dalle prima indagini è possibile che sotto ci sia la struttura originaria del Seicento". 

E coup de théâtre, a marzo del 2012 si parte con lo strappo dei dipinti ottocenteschi (il fregio nella parte alta) della Sala Gialla sulla parete verso la piazza: "E' un intervento a lungo discusso e ora autorizzato - avverte Vodret - Abbiamo eseguito i saggi e abbiamo constatato che sotto c'è integra la decorazione progettata da Pietro da Cortona. Le pitture ottocentesche saranno ricollocate su apposito supporti ed esposte sempre al Quirinale". "Questo restauro ci consente di riscopriamo un aspetto inedito di Alessandro VII Chigi  - avverte Luois Godart - sempre ricordato come un uomo della controriforma, ossessionato dalla morte. Dal 1655 commissiona a Pietro da Cortona un'opera straordinaria tutt'altro che macabra, anzi un canto per la vita, con questa sequenza a trompe l'oeil di colonne binate aperte sulla natura, da cui emergono animali e piante. E' il momento in cui Roma riscopre la gioia del Barocco".

FONTE: Laura Larcan (repubblica.it)

giovedì 13 ottobre 2011

Lo sguardo del Perugino inedito

A Campione d'Italia due tele attribuite al pittore grazie a un inventario del 1703


Il Cristo coronato di spine scruta fisso negli occhi lo spettatore del quadro con un'espressione che non tradisce dolore fisico ma compassione con chi intercetta il suo sguardo. La Madonna ha il capo leggermente reclinato e i suoi occhi, in una traiettoria appena obliqua, probabilmente cercano il figlio, lì accanto nell'altra tavola. È il «Perugino inedito» che regala anche il titolo alla mostra che si apre sabato 15 ottobre nella galleria Civica di San Zenone di Campione d'Italia. Come mai lassù, nel comune italiano in territorio svizzero? La risposta fa parte del giallo storico-artistico dell'inedito: il proprietario delle due tavole è un collezionista italiano (rigorosamente anonimo) che risiede in Svizzera...

Ed eccoci alle due tavole, capitate non più di due anni fa per una consulenza tra le mani del professor Francesco Federico Mancini, ordinario di Storia dell'Arte moderna all'Università di Perugia e da anni studioso del Perugino. Sua la grande mostra monografica sul «Perugino divin pittore» del 2004, organizzata nella Galleria nazionale dell'Umbria con Vittoria Garibaldi, allora soprintendente umbra. Nel 2012 sarà impegnato, di nuovo con Vittoria Garibaldi e stavolta anche con Tom Henry, docente di Storia dell'Arte all'Università di Oxford Brookes e collaboratore della National Gallery di Londra, in una rassegna monografica su Luca Signorelli. Un anno fa presentò, nel primo capitolo del «Perugino inedito», altre quattro piccole tavole inedite dell'artista.
L'inedito di oggi riguarda due oli su tavola (33 centimetri per 27) in origine collegati da cerniere a formare un dittico. Presentano sul verso un rivestimento di pelle stampigliata che simula l'esterno di un libro. Spiega Mancini: «Era un altarolo domestico. Una volta chiuso, poteva essere collocato nello scaffale di una libreria, oggetto raffinatissimo per il gabinetto di un amateur».
Come in ogni attribuzione attendibile, ecco la necessaria fonte: un inventario dell'11 giugno 1703 relativo ai beni di Cosimo Bordoni, medico personale di Cosimo III, abitante a Firenze in via Tegolaia. Lì si parla di «due quadri compagni, del Perugino: la Madonna e Giesù, ornamento liscio, tutto dorato».
Dopo quell'inventario, le tracce del dittico si perdono. Ma poi, sempre sui dorsi, ecco un altro indizio: due sigilli di ceralacca, uno nero e l'altro rosso, con emblemi araldici ancora non decifrati. Afferma ancora Mancini: «Si tratta di sigilli con ogni probabilità inglesi, che segnalano la presenza delle due opere appaiate in una collezione anglosassone tra il '700 e l'800. Segno, anche questo, del grande prestigio goduto dalle tavole». E dopo? «Dopo non sappiamo nulla se non che l'attuale proprietario ha acquisito il dittico sul mercato e mi ha contattato per mostrarmelo».
Mancini colloca le due opere nel periodo veneziano del Perugino, cioè dopo il 1494, quel lasso di tempo sul quale si soffermò, pieno di interrogativi proprio per l'assenza di tracce, Pietro Scarpellini nella sua monografia sull'artista del 1984. Racconta il curatore della mostra: «Appena viste le tavole, ho avuto la certezza della mano del Perugino. Ma un Perugino in qualche modo anomalo, soprattutto per lo sfondo nero da lui raramente usato. Il pensiero va subito alla "Maddalena", conservata a palazzo Pitti e che proporrò in catalogo. A mio avviso il dittico venne realizzato tra il 1495 e il 1497, o a Venezia o a Firenze. Perugino potrebbe averci lavorato direttamente a Venezia, portando poi l'opera a Firenze, o invece nella città dei granduchi subito dopo aver lasciato Venezia. L'influenza veneziana è evidente, soprattutto da parte di Alvise Vivarini. Ma fiorentina è sicuramente la coperta in pelle che contiene espliciti riferimenti a Firenze, ovvero piccoli e grandi gigli». Lo conferma anche lo studioso John Bidwell, Astor Curator of Printed Books and Bindings della Morgan Library di New York. In quanto allo stile, ai colori, professore? «Caratteristici del Perugino sono il verde bottiglia del risvolto del manto della Vergine, il rosa del copricapo a cuffia, il rosso intenso della veste che è identico sia per timbro che per qualità a quello della Vergine».
Il dittico arriva a noi, fino al 2011, in condizioni non straordinarie, nonostante la forza e la resistenza di una pasta cromatica particolarmente grassa e oleosa. In un passato non definibile una pulitura tanto sommaria quanto aggressiva, spiega sempre il curatore della mostra, deve aver causato quelle spellature visibili sia sulla barba che sui capelli del Cristo. In quanto alla Madonna, in alcuni punti sono sparite molte delle delicatissime velature che, ricorda Mancini, «conferiscono maggiore profondità e trasparenza ai suoi colori». Ma i due sguardi, per nostra fortuna, mantengono intatta una forza e, insieme una dolcezza indelebili.
FONTE: Paolo Conti (corriere.it)

domenica 9 ottobre 2011

Modena saluta Josef Albers il raggio di luce della Bauhaus


La Galleria Civica celebra il pittore e designer, illustre maestro della grande scuola tedesca, con la prima grande mostra italiana. Quasi 180 opere ripercorrono la sua carriera, dai collage di vetri agli "Omaggi al quadrato" che rivoluzionarono le potenzialità del colore


Collage di vetri, stoffe, legni, fotografie, copertine di dischi, quadri ad olio dove il colore viene scaricato direttamente dai tubetti a coreografare effetti di ambiguità percettiva a suon di forme geometriche. Pittore, designer, grafico, il tedesco Josef Albers (1888-1976) è stato uno dei protagonisti più significativi della stagione del Bauhaus, la scuola fondata da Walter Gropius, prima come allievo e poi ininterrottamente docente fino alla chiusura nel 1933 per le pressioni dei nazisti, attraverso le varie sedi di Weimar, Dessau e Berlino. Dopo esser stato collega in cattedra di Klee e Kandinskij, sbarcò allo sperimentale Black Mountain College del North Carolina, dove insegneranno anche John Cage, Merce Cunningham e lo stesso Gropius, finendo per collezionare allievi prestigiosi come Robert Rauschenberg  e Cy Twombly, solo per citarne alcuni. 

La sua parabola creativa, tra le più originali ed eclettiche delle avanguardie del Novecento, viene raccontata per la prima volta in Italia dalla grande mostra "Josef Albers", dall'8 ottobre all'8 gennaio alla Galleria Civica di Modena sotto la cura del suo direttore Marco Pierini. Grazie alla preziosa collaborazione con la Josef & Anni Albers Foundation di Bethany (Connecticut) arriva a Modena l'intera collezione americana, con una sola eccezione, di 179 opere. C'è tutto il suo universo di ricerca artistica applicata, in questo percorso. 

Degli anni del Bauhaus, sfilano dodici lavori in vetro realizzate dal 1921 al 1932, i suoi collage di vetri traslucidi su tavola, con cui elaborava virtuosistici giochi di luce in una continua variazione di sfumature. Ancora, ventonove fotografie accanto ai suoi assemblaggi di immagini per orchestrare i bizzarri photocollage, insieme ad una piccola selezione di xilografie e di gouache. Un repertorio che testimonia la sua spiccata sensibilità alla manipolazione delle geometrie, costruendo scacchiere e griglie di forme isometriche per ottenere effetti prospettici innovativi, quasi a cercare una pionieristica tridimensionalità. Spiccano anche i mobili disegnati in questo periodo, che fondono in un linguaggio innovativo funzionalità e purezza di linee accanto alla sperimentazione dei materiali più disparati. Con il Black Mountain College, Albers sfodera una pittura a olio materica, dosata con la spatola, cavando il colore direttamente dal tubetto. Una scelta testimoniata da una decina di dipinti della seconda metà degli anni Trenta e degli anni Quaranta, che svelano la sapiente cura delle affinità cromatiche. 


Lo spazio della Palazzina dei Giardini dedica la scena alla nota serie delle "Varianti" (1947-1952), mentre  la sala grande di Palazzo Santa Margherita accoglie il ciclo della maturità "Omaggio al quadrato" (1950-1976), che si fregia di un prestito di un'importante collezione privata americana, e sfoggia l'ultimo "omaggio", compiuto a poche settimane dalla morte dell'artista, il 25 marzo 1976. La bellezza di questa sequenza cronologica di lavori sta tutta nella incredibile varietà di accordi cromatici in funzione del formato della tela: la cura maniacale e certosina dei pigmenti di colori ravvicinati orchestra effetti di profondità che animano in modo spettacolare la superficie del quadro. Una chicca, sono anche le sette copertine di dischi disegnate per la Command Records, la casa discografica fondata dal violinista e ingegnere del suono Enoch Light con l'innovativa confezione apribile, "gatefold sleeve", la cui invenzione si deve proprio alla collaborazione fra Josef Albers e Enoch Light. Come dice Marco Pierini: "Dalle sabbiature tentate sul vetro negli anni Venti, fino alle distese di prove di colore poggiate sul pavimento per scegliere i giusti rapporti di un nuovo Omaggio al quadrato, l'attitudine di Albers è rimasta sempre la medesima, quella di un infaticabile, coraggioso, avventuroso scienziato alle prese con un esperimento, se è vero che  -  come insegna Gregory Bateson  -  la scienza non prova, esplora".


Notizie utili - "Josef Albers", dal 9 ottobre all'8 gennaio 2012, Galleria Civica di Modena, Palazzo Santa Margherita e Palazzina dei Giardini, corso Canalgrande. ModenaOrari: martedì- venerdì 10.30 - 13.00; 15.00 - 18.00, sabato domenica e festivi 10.30  -  19.00lunedì chiusoIngresso gratuitoInformazioni: 059 2032911/2032940Catalogo: Silvana Editoriale

sabato 8 ottobre 2011

Rette, colori e geometrie al Vittoriano c'è Mondrian


Il Complesso del Vittoriano celebra la  parabola creativa del grande olandese, dal realismo alla svolta astratta. Non è un'antologica esaustiva, ma svela l'inaspettata passione per il jazz e il ballo


Ascoltare jazz e ballare al ritmo di questa musica nelle ronde notturne dei club di una movida da belle époque. Era l'hobby preferito di Piet Mondrian. E' vero che la storia della critica ci ha consegnato un artista serio e dedito alla sua arte con profonda vocazione, ma basta con l'immagine di un artista monaco asceta lontano dalla vita. "Mondrian non era affatto un olandese rigido e privo di fascino, era invece un artista che sapeva godere dei piaceri della vita", avverte Benno Tempel, direttore del Gemeentemuseum de L'Aia e curatore della mostra "Mondrian. L'armonia perfetta", in scena al Complesso del Vittoriano dall'8 ottobre al 29 gennaio di cui il museo olandese è il principale prestatore. Se c'è una qualità in questa esposizione capitolina, non completa e tratti lacunosa, è quella di aver svelato quest'indole poco nota del genio olandese, ponendo l'accento su un'insospettabile vitalità, vagheggiando corrispondenze tra la musica e la modernità della sua arte, anche attraverso un'inedita installazione musicale curata da Claudio Strinati. 

A distanza di cinquantacinque anni dall'ultima memorabile rassegna su Mondrian a Roma, che si tenne alla Gnam sotto l'egida di Palma Bucarelli, le aspettative su questo ritorno non potevano che essere altissime. E sono soddisfatte solo a metà. L'esposizione del Vittoriano ha un'aspirazione antologica ma manca di opere capitali. Ha il pregio indubbio di ripercorrere l'evoluzione della pittura del genio olandese (1872-1944), dai paesaggi realistici, alla fase simbolista e luminista sotto l'influenza della teosofia, dove si scorge una spiccata ricerca nella tecnica del puntinismo, all'aspirazione cubista, fino al trionfo del suo "De Stijl" e alle scacchiere "neoplastiche" di rossi, gialli e blu. Ma risolve questa parabola in modo sintetico, senza garantire una qualità uniforme delle opere. 

La sala del Neoplasticismo ne è un esempio. Dovrebbe rappresentare il momento clou della mostra, e invece propone solo dodici tele di Mondrian. Più suggestiva è la sezione dei paesaggi di ispirazione simbolista, dettati dallo studio della teosofia, dove Mondrian lascia intuire un processo sofisticato di semplificazione dell'ossatura dell'immagine, cominciando a ragionare per forze orizzontali e verticali. E splendidi appaiono i grandi carboncini e pastelli dedicati allo studio magistrale delle silhouette degli alberi, che prefigurano la rivoluzione astratta delle sue composizioni. Valgono tutta la mostra. Il percorso, poi, si gioca la carta del confronto con altri artisti colleghi di Mondrian per raccontarne l'evoluzione, riempiendo le sale."Quella di Mondrian è la carriera di un artista non convenzionale - racconta Benno Temple - Nessuno come lui ha avuto gli stessi sviluppi. Guardando all'evoluzione di Mondrian si può cogliere l'evoluzione dell'arte dal XIX al XX secolo. La qualità del suo lavoro è costante, sin dal'inizio mostra un talento che sarà mantenuto intatto per tutta la carriera. Parte come paesaggista, seguendo la pittura dell'epoca". E l'armonia perfetta comincia a definirsi quando si avvicina alle teorie teosofiche. "Una delle prime cose che imparò dalla teosofia - dice Temple - è che nella natura esiste una lotta tra forze orizzontali e verticali. Sin dai lavori ancora realistici spiccano già queste presenze del verticale e dell'orizzontale. Ad esempio, le dune diventano elementi orizzontali, e i fari o le facciate delle chiese, gli elementi verticali. Distruggere per la teosofia è un processo positivo perché conduce alla novità". 

Uno dei momenti più importanti nella vita di Mondrian fu nel 1911 quando venne organizzata una sua mostra ad Amsterdam. "La sua aspirazione era di diventare l'artista olandese più moderno - dice Temple - Dipingeva forme spigolose con linee rette convinto che fosse uno stile affine al cubismo. Ma quando vide in mostra lavori di Picasso e Braque, capì che non avrebbe potuto ma diventare quell'artista moderno che desiderava se fosse rimasto in Olanda. Compi un gesto coraggioso: aveva 40 anni, era famoso e fidanzato. Lasciò tutto per andare a Parigi per ridiventare un artista poco conosciuto. Quindi cominciò a studiare e a dipingere opere cubiste. E andò oltre, iniziò a fare qualcosa che neanche Picasso aveva fatto, fondendo primo piano e sfondo e trasformando la superfixie del quadro in un complesso dinamico". Prima dello scoppio della grande Guerra tornò in Olanda e continuò a progredire, fondando "De Stijl", un movimento che cercava un nuovo stile per un nuovo futuro. Quando torno a Parigi alla fine della guerra, scoprì di essere un passo avanti a tutti gli altri, compreso Picasso. Il suo atelier a Parigi in Rue du Départ 26 testimonierà la sua modernità: aveva dipinto i muri con i suoi tipici quadrati, aveva appeso quadri e tanti specchi che conferivano un effetto tridimensionale, sembrava di entrare in un suo dipinto. All'avvento del nazismo, lasciò l'Europa e si stabilì a New York, e qui la sua passione per il jazz ebbe di che nutrirsi a sazietà.

Notizie utili - "Mondrian. L'armonia perfetta", dall'8 ottobre al 29 gennaio 2012, Complesso del Vittoriano, via di San Pietro in Carcere. RomaOrari: lunedì-giovedì 9:30-19:30, venerdì e sabato 9:30-23:30, domenica 9:30-20:30.
Ingresso: intero €12, ridotto €8,50.
Informazioni: 06-6780664.
Catalogo: Skira



FONTE: Laura Larcan (repubblica.it)

lunedì 3 ottobre 2011

La fotografia è una terra madre


Il rapporto fra autori e luoghi di appartenenza è il filo rosso che lega mostre ed eventi del decimo Festival di Roma

Corpi flaccidi e strabordanti, ora sdraiati ora in piedi, che fanno pensare alla pittura di Lucian Freud ma talora alludono al Mantegna: le fotografie di grande formato riempiono la stanza più sorprendente della personale di Eric Poitevin, curata da Eric de Chassey all’Accademia di Francia a Villa Medici. Poitevin ha anche ripreso alberi e foreste e animali, ed è questa la sua interpretazione di «Terra madre», il tema filo conduttore del X festival di Fotografia di Roma, diretto da Marco Delogu. «”Motherland” - spiega - affronta il rapporto tra fotografia e territorio nella sua accezione più profonda, tra autori e appartenenza a un luogo». Così ad esempio l’aquilano Antonio Di Cicco racconta all’Iccrom in «La terra negata dall’identità», in un bianco e nero livido e asciutto, i luoghi senza identità dell’Abruzzo post-terremoto: dagli anziani che tornano davanti alle porte delle case distrutte alla natura che sembra l’unica cosa viva in certe costruzioni abbandonate.

All’Accademia di Spagna il collettivo Pandora esplora altri territori di confine: tra Messico e Stati Uniti, tra Marocco e Spagna, o tra Colombia e Panama. Ci sono serie struggenti come quella dellePenelopi messicane , con grandi foto di donne di varie età e un numero di figli che va da uno a dieci, in attesa di uomini che hanno attraversato il confine e non si sa se e quando torneranno. O degli indigeni Embera «forzati dell’Eden», ossia costretti a vivere in una sorta di paradiso terrestre, ma senza diritti ai confini della Colombia.Oltre a quelle delle Accademie straniere ci sono decine di mostre in un circuito di gallerie private, ma il cuore del Festival è al Macro Pelanda al Testaccio.


 Qui Delogu propone una sorta di storia centrifugata della kermesse che compie dieci anni e che ha rischiato di scomparire dopo il cambio di guardia in Campidoglio. Ritroviamo così, legati dal tema «Motherland», alcuni autori e alcune serie presenti in passato: dall’America di Paul Fusco, vista dal treno che portava la salma di Robert Kennedy, nel giugno del ‘68, ai personaggi (il nero che gioca a scacchi e sembra quasi una foto di Sidibé o le coppie aggrovigliate sul prato) al Central Park di Tod Papageorge, dalla Napoli in nero e bianco di Antonio Biasiucci al ritorno a casa degli adolescenti dello svedese Anders Petersen.Tutti gli anni il Festival invita un grande fotografo a raccontare Roma, questa volta è toccato ad Alec Soth, che della kermesse è una vecchia conoscenza: si rivedono come «souvenir» alcune sue immagini dell’America profonda come l’indimenticabile Charles con tuta, passamontagna e due modelli di aeroplani in mano. A Roma Soth ha realizzato una serie che si chiama La belle dame sans merci (raccolta anche in un libro) ed è ispirata a un verso di John Keats che è sepolto a Roma al Cimitero degli Inglesi alla Piramide. Soth si è perso dietro alcune donne viste in città, dietro serpenti e riferimenti simbolici al poeta, ci ha lasciato immagini forti come quella della ragazza dai capelli rossi un po’ da strega e foto minimaliste di un piatto con un fico e due frutti della passione.Altre serie nuove sono di fotografi italiani scelti da Delogu e di autori di tutto il mondo selezionati da una triade di curatori internazionali, Marc Prüst, Paul Wombell e Rob Hornstra. Abbiamo così le ombre e le luci sulle mura aureliane di Roma nella serie in bianco e nero di Rodolfo Fiorenza o i giochi un po’ intellettualistici della giovane Valentina Vannicola che ha ambientato l’Inferno di Dante nella sua Maremma. 


Francesco Millefiori ci restituisce una Sicilia macchiata dal degrado, Francesco Fossa racconta invece in Quota Mille il Matese, con interni contadini ed esterni che sembrano all’altro capo del mondo, Lorenzo Maccotta insegue il padre tra Tunisi e Pantelleria.Tra gli ospiti stranieri è geniale la serie di fotomontaggi realizzata dal francese Mathieu Bernard-Reymond che inserisce in paesaggi naturali grafici legati all’andamento della Borsa, al prezzo del petrolio o agli utili dell’Ubs. Uno spazio è dedicato al Medio Oriente con le foto «di famiglia» in bianco e nero della libanese Rania Matar e un reportage sul ritorno in Algeria di Bruno Boudjelal. A completare il tutto alcuni autori olandesi e soprattutto «Sound of Water», una collettiva di cinque autrici giapponesi, che riflettono sulla natura e la società del loro Paese, una terra madre che si è rivelata nell’ultimo anno matrigna. Nei prossimi giorni si aprirà, all’Aranciera di Villa Borghese, la doppia mostra storica dedicata a Milton Gendel, il critico e fotografo cosmopolita vissuto tra New York, Shanghai e Roma.Certo, rispetto alle prime edizioni, il festival ha subito un ridimensionamento, ma la sua vitalità sta oggi in un modello organizzativo «a rete», che potrebbe essere imitato in tempi di crisi: «Abbiamo speso - spiega Delogu - solo 125 mila euro, grazie alla collaborazione delle varie Accademie straniere e di Istituti come l’Iccrom che hanno prodotto le mostre da loro ospitate». E l’approdo al Macro Pelanda prelude a un rapporto più continuativo tra il Festival e il museo da poco diretto da Bartolomeo Pietromarchi.


FONTE: Rocco Moliterni (lastampa.it)