giovedì 29 luglio 2010

Il Colosseo cerca sponsor per il restauro con un bando da 25 milioni di euro

Quella caduta di pezzi di malta a maggio non era un sintomo di buona salute. E c'era già chi prevedeva crolli più importanti come quello di due mesi prima nella vicina Domus Aurea. «Finché esisterà il Colosseo, esisterà anche Roma; quando cadrà il Colosseo, cadrà anche Roma; quando cadrà Roma, cadrà anche il mondo», ammoniva il venerabile Beda nel VII secolo, periodo in cui l'Anfiteatro Flavio-Colosseo era praticamente ridotto a cava di marmo travertino e ferro. E per i romani il suo profilo è familiare almeno come la visione dei turisti stesi sui pratini antistanti a godere della sua mole, e quella dei ponteggi dei restauri lì almeno dalla metà degli anni Novanta.

Ora, però, per il monumento voluto dall'imperatore Vespasiano sembra aprirsi una nuova fase, finalmente decisiva: il ministero per i Beni Culturali ha appena presentato il nuovo progetto per il restauro del Colosseo, la cui attuazione sarà preceduta da un bando per la ricerca di finanziatori privati. Servono 25 milioni di euro per completare o iniziare una lunga lista di interventi: il restauro del prospetto settentrionale e meridionale, la sostituzione delle chiusure dei fornici del primo ordine con cancellate, la revisione e restauro degli ambulacri del primo e secondo ordine, la revisione, restauro e consolidamento degli ipogei, l'adeguamento e integrazione degli impianti (elettrico, videosorveglianza, allarme) e infine la realizzazione di un centro servizi da 1.500 mq nella piazza antistante.

Gli sponsor privati potranno pregiarsi del loro investimento, ma resta da capire esattamente come, visto che saranno vietati (per fortuna) quei mega pannneli pubblicitari che coprono i monumenti in fase di restauro. Ma una pubblicità a tappeto si farà per il bando stesso, dopo che il 4 agosto apparirà in Gazzetta Ufficiale: lo stesso giorno sarà disponibile sul sito www.commissario-archeologiaroma.it e si stanno già individuando giornali e magazine italiani e stranieri per acquistare degli spazi. Il periodo per presentare le offerte non è propriamente lunghissimo, perché si chiuderà il 15 settembre. «Siamo di fronte a un fatto storico: è la prima volta che in Italia si emana un avviso pubblico per scegliere una società o un'istituzione italiana o internazionale, disponibile a sponsorizzare il restauro di uno dei monumenti più noti al mondo e più importanti della storia», ha commentato il ministro Sandro Bondi che ha presentato l'iniziativa insieme al sindaco Gianni Alemanno e ai sovrintendenti della città.
all'imperatore Vespasiano sembra aprirsi una nuova fase, finalmente decisiva
: il ministero per i Beni 

FONTE: Chiara Beghelli (ilsole24ore.it)

martedì 27 luglio 2010

Guido Ballo, così i buchi diventarono arte



Addio al critico che consacrò Fontana. Aveva 96 anni


I suoi studenti all’Accademia di Brera, dove Guido Ballo ha insegnato per quattro decenni, con grande seguito, lo ricordano con indosso una giacca nera a tre bottoni, aderente, come quelle che negli anni Sessanta portavano un po’ tutti, da Calvino ai Beatles, da Jacques Lacan a Lucio Fontana, il suo artista preferito, come ha scritto di recente Massimiliano Gioni in quella che è l’ultima intervista del critico milanese. Pelato, faccia a punta, carattere ispido, a tratti irascibile, Guido Ballo, scomparso ieri alla veneranda età di 96 anni, è stato uno dei critici più significativi del dopoguerra e, insieme al centenario Gillo Dorfles, colui che ha accompagnato l’arte lombarda, milanese in particolare, nel decisivo passaggio dalla fine degli anni Quaranta postbellici ai roboanti Sessanta: Piero Manzoni, Vincenzo Agnetti, Enrico Castellani, e prima di loro Lucio Fontana, di cui Ballo ha presentato le prime mostre. 

Nato ad Adrano, in provincia di Catania, l’anno dell’inizio della prima guerra mondiale, Ballo si era trasferito a Milano da Palermo nel 1939, portando con sé i fogli delle sue poesie, perché oltre che critico, amico di artisti, loro confidente, suggeritore e presentatore, è stato autore di versi, un’attività decisamente sperimentale che, non a caso, ha innervato la sua prosa di studioso d’arte. Il 1959 deve essere stato per lui l’anno topico. Nel mese di settembre esce il primo numero di Azimuth, la rivista di Agnetti, Manzoni e Castellani, atto decisivo dell’arte concettuale e cinetica italiana, in cui i giovani artisti indicano due soli precursori: Fontana, su cui ospitano il saggio critico di Ballo, e il Gruppo Zero che agisce in Germania. 

In quello stesso anno, come ricordava nella conversazione con Gioni, Ballo va all’inaugurazione della personale di Gastone Novelli alla galleria l’Ariete per cui ha scritto la presentazione. Non c’è nessuno, solo l’artista, i due fratelli Pomodoro e Ballo stesso. I quattro delusi e abbattuti si guardano tra loro quando all’improvviso entra Fontana. È entusiasta. Osserva le opere esposte ed esclama: «Una bellissima mostra». E decide di acquistare immediatamente un quadro. Alla fine dei Cinquanta Fontana, ripeteva Ballo, non aveva quasi un mercato; spesso regalava i propri quadri, era un indipendente, poco propenso a farsi gestire da galleristi e mercanti. Al giovane critico che gli chiedeva come fosse Fontana, Ballo spiegava che la sua arte aveva il merito di raggiungere il grande pubblico: buchi, tagli, installazioni attraevano immediatamente, facevano discutere, scandalizzavano. Fontana rompeva con il linguaggio tradizionale, ed era una persona che catalizzava l'interesse di chi lo conosceva, prima di tutto dal punto di vista umano: un incantatore. Tre anni prima, nel 1956, Ballo aveva dato alle stampe uno dei suoi libri importanti: Pittori italiani dal Futurismo ad oggi. 

L’attenzione alle avanguardie è stato un tratto distintivo del suo lavoro di saggista e critico, sia all’aspetto di astrazione di cui le avanguardie si sono fatte carico, sia a quello più informale, che agisce all’interno della matrice simbolista delle stesse avanguardie. Ballo aveva riconosciuto l’importanza dell’oscillazione tra razionalità e irrazionalità nelle esperienze estetiche del primo Novecento, sino ad arrivare a ritrovarla negli sperimentalismi degli anni Sessanta, di cui è stato un acuto testimone. Nel 1961 diede vita al gruppo battezzato «Continuità»: Consagra, Dangelo, Dorazio, Fontana, Perilli, Novelli, i fratelli Pomodoro, Turcato, Sottsass, Bemporad. Il libro in cui sintetizza il suo lavoro critico, tradotto anche all'estero, è Occhio critico del 1966, pubblicato in due successivi volumi. 

Nel 1970, al culmine del suo lavoro, scrive una monografia dedicata a Fontana, a due anni dalla scomparsa dell’artista, Lucio Fontana, idee per un ritratto. Forse la chiave per comprendere il suo lavoro, che è legato alle vicende dell’arte italiana, milanese in particolare, che precedono l’esplosione del Sessantotto e l’avvento dell’Arte povera, risiede probabilmente nella sua opera poetica, nella fusione d’impulsi irrazionali, propri delle sue origini siciliane, e la razionalità tutta settentrionale, lombarda, di cui è stato al tempo stesso un interprete coerente e costante. Con lui se ne va un altro pezzo di quello spirito milanese, fatto di lombardi e milanesi d’adozione, di cui, di questi tempi, si sente sempre più la mancanza.

FONTE: Marco Belpoliti (lastampa.it)

domenica 25 luglio 2010

Cattelan, paura d'essere risucchiato dallo scarico della lavatrice

L'artista italiano più conosciuto e quotato del mondo compie 50 anni «Quando arrivi dal nulla come me, il nulla ti insegue come un fantasma»


E' difficile da credere che il Pierino dell'arte contemporanea, l'erede della merda d'artista, il guerrigliero delle arti visive ma anche l'artista nato povero ma non dell'Arte Povera diventato l'Italiano più caro al mondo, insomma avete capito, «lui», Maurizio Cattelan, stia per superare il mezzo secolo di vita. Come ci si sente a 50 anni? «Uguali, direi. Ma più che celebrare i 50 anni, celebro 20 anni di permanenza nello stesso mestiere, l'artista: tutti i lavori che ho fatto prima al massimo sono durati un paio di anni». In effetti Cattelan è rimasto uguale a quando c'incontravamo nel 1993 nello stesso ristorante giapponese, Shima, nell'East Village di New York dove abbiamo fatto questa intervista. Sembra geneticamente disegnato per essere un personaggio eterno da fumetti. Stesso peso, qualche capello grigio in più e anziché abiti sgraffignati oggi indossa T-shirt autoprodotte griffate Cattelan. Unica differenza: 17 anni fa anche se con fatica chi pagava il conto del ristorante ero io, mentre oggi è lui. 

Come ci si sente a essere ricchi? «Ricco per me vuol dire riuscire a poter fare i miei lavori senza dipendere da nessuno, riuscire a realizzare le mie idee, dalle sculture alle riviste come Permanent Food o Toilet Paper, fresca fresca di stampa». Ma quando hai capito che con l'arte potevi davvero viverci? «Fino al 1997 qui a New York il mio budget giornaliero era di 5 dollari. Poi un gallerista dove avevo fatto un mostra mise all'asta una mia opera, gli “spermini”, le mascherine di lattice con la mia faccia che furono battuti se non sbaglio per 150 mila dollari, lui li aveva pagati credo 10 mila». Contento? «Da una parte sì, ma da un'altra trovavo assurdo che mentre io ero costretto a pane e caffelatte perché non potevo comprarmi un cornetto, c'era uno che in pochissimo tempo aveva guadagnato 15 volte quello che aveva investito». 

Oggi le cose sono leggermente cambiate, le opere di Cattelan non sono così facili da avere e costano svariati milioni alle aste e sul mercato privato. Quel gallerista sarebbe stato più furbo a tenerseli gli spermini. «Inutile piangere sul latte versato». 

Così senza lacrime il 21 settembre Cattelan, che è nato sotto il segno della Vergine, spegnerà 50 candeline. Il giorno dopo festeggerà San Maurizio e il 24 settembre inaugurerà la sua nuova scultura in piazza degli Affari, a Milano, Omnia Munda Mundi, titolo preso in prestito da San Paolo: Per i puri tutto è puro. Si tratta di un'enorme mano di marmo alla quale sono state segate tutte le dita escluso il dito medio che svetta nel cielo mandando al diavolo un po' tutti. Questo monumento, che piacerebbe tanto a Beppe Grillo, ha creato non pochi problemi al sindaco Letizia Moratti e al suo assessore alla Cultura Massimiliano Finazzer Flory. Ma Milano conosce bene il gioco di Cattelan sempre al limite del cartellino rosso. Nel 2004 la Fondazione Trussardi presentò i suoi tre bambini impiccati a un albero e l'opera fece il giro delle prime pagine di tutti i quotidiani. 

Il monumento al «vaffanculismo» il giro dei quotidiani lo ha già fatto prima ancora che venisse realizzato, così come ha destato non poche polemiche l'ipotesi di sostituire un monumento a Mazzini durante la Biennale di Scultura di Carrara con una statua di Bettino Craxi. In questo caso l'operazione non è riuscita e Cattelan si è accontentato di mettere un cenotafio con l'effigie del leader socialista al cimitero, vicino alle tombe dei dispersi in guerra. 

Quando pensi a un lavoro vuoi sempre provocare? «Assolutamente no. M'interessa che l'opera e l'arte facciano comunicazione, dicano qualcosa a cui magari la gente pensa ma non lo dice apertamente. O se lo dice non lo mostrerebbe mai con un'immagine. L'immagine esprime sempre di più delle parole: è più semplice, chiara, efficace, lascia pochi dubbi». Qualche dubbio sulla qualità di certi tuoi lavori tu però li hai? «Certo. Ci sono lavori che funzionano come opere e altri, per esempio i bambini appesi all'albero, una volta mostrati in un contesto molto preciso non funzionano più». Tu fai poche mostre in gallerie private. L'ultima è stata a New York da Marian Goodman nel 2001 con i due poliziotti capovolti. «Ecco un lavoro sul quale ancora oggi ho qualche dubbio. Sì, preferisco lavorare in luoghi pubblici più che nelle gallerie. Il lavoro deve circolare nella testa delle persone, fuori anche dal mondo ristretto dell'arte». 

Di cosa hai paura? «Di essere dimenticato. Una paura che mi porto dietro dalla nascita. I miei genitori volevano tanto una femmina che quando nacqui si dimenticarono di registrarmi all'anagrafe, glielo ricordarono dai carabinieri». Paura di tornare un povero artista? «Vedi, io sono nato in una famiglia indigente. Ci facevamo il bagno in una tinozza con l'acqua calda dello scarico della lavatrice. Sono uno di quelli di cui si dice che “si è fatto dal nulla”. Ma quando arrivi dal nulla questo “nulla” t'insegue come un fantasma. Non importa quanti soldi uno faccia. Il terrore che questo nulla a un certo punto riesca a riprenderti è eterno. Non è paura di tornare povero, ma paura di essere risucchiato dentro lo scarico della lavatrice». Eppure sei stato proprio tu a iniziare la tua carriera d'artista scomparendo. Una delle tue prime opere furono delle lenzuola annodate a mo' di evasione con le quali ti calasti dalla finestra di un castello dove avresti dovuto partecipare a una mostra di gruppo. Addirittura alla tua prima mostra in una galleria di Bologna, la Neon, nel 1989, non sapendo cosa fare attaccasti al muro un cartello con scritto «Torno Subito». «Sì, però quando poi ho deciso di tornare non sono più andato via».

FONTE: Francesco Bonami (lastampa.it)

lunedì 5 luglio 2010

Il senso degli Este per il collezionismo

Al Museo Archeologico i capolavori conservati a Modena


Aosta, legittimamente orgogliosa delle sue forti e affascinanti memorie di antichità romane, accoglie nelle sale del Museo Archeologico l’altrettanto affascinante memoria secolare dell’impronta classica rinascimentale delle collezioni estensi. Si tratta dei versanti più privati emigrati alla fine del ’500 da Ferrara a Modena. Mario Scalini, curatore della mostra con Nicoletta Giordani, ricorda nell’introduzione del catalogo che il titolo «Rinascimento privato» è stato ispirato dall’ultimo libro di Maria Bellonci su Isabella d’Este. Ricorda anche che l’investitura da parte dell’imperatore Federico III a Borso d’Este a Duca di Modena e Reggio Emilia avvenne nel 1542, un anno prima della caduta di Costantinopoli e dell'Impero d'Oriente. 

Le 113 monete d'oro esposte in mostra della collezione numismatica, nata con Lionello e Borso d'Este a Ferrara ma ancora incrementata a Modena nel XIX secolo da Francesco IV e Massimiliano d'Austria, iniziano con uno statere di Taranto con testa di Eracle del 280 a.C. e terminano con Michele VII, Imperatore di Bisanzio nel 1071-1078. Ma soprattutto il senso più profondo dell’aura e delle fonti dell’umanesimo classico quattrocentesco emerge, con un fascino straordinario fra magia e immaginario simbolico, dalle plance di esposizione delle 518 gemme intagliate. Dominano il grigiazzurro del calcedonio e il rosso-arancio della corniola, in mezzo all’agata, al diaspro, all’onice, all’ametista, alla sardonice. 

Sono utilizzate per un popolo infinito di dei e di eroi del mito dall’Olimpo all’Asia Minore al Nilo: simboli magici e amuleti, mondo animale reale e mostruoso, microscene di genere. La curiosità paziente del visitatore trova lenti al suo sevizio ed è soprattutto soddisfatta nella saletta di proiezione dell’audiovisivo, al cui commento in italiano e in francesce si accompagna il limpido latino della Naturalis Historia di Plinio.

Su questa stupefacente base iconica, che documenta quattro secoli di collezionismo principesco, si appoggia l’eleganza dell’allestimento espositivo, caratterizzato dallo scorrere lungo le pareti dei corridoi e delle sale del secondo piano delle riproduzioni dei finti arazzi con Storie di Bacco affrescati a metà '600 da Jean Boulanger nel palazzo di Sassuolo nel Modenese. Ed anche le scelte raffinate della scultura marmorea e bronzea. Esse comprendono due bassorilievi romani del II secolo, fra Adriano e Antonino Pio. Il primo riporta un corteo bacchico. Il secondo è uno straordinario esempio di sincretismo latino-asiatico: mette insieme il culto mitriaco del giovane Aion nelle spirali del serpente e quello orfico di Phanes alato nascente dall’uovo infuocato, al centro di un ovale con i segni zodiacali.

I due marmi antichi si confrontano con due bronzi «antichizzanti»: il busto di Livia Sabina moglie di Adriano in veste di Cerere a metà ’500 del ferrarese Ludovico Lombardo e la testa in bronzo dorato di Antinoo innestata su un busto all’antica di onice, opera di scuola romana di metà ’700 a imitazione del cinquecentesco Nicolas Cordier. Dalla Galleria palatina, spogliata dalla sciagurata vendita nel 1674 di 100 capolavori a Dresda, provengono il Ritratto del buffone Gonella di Dosso, il Ritratto del Delfino Francesco di Valois, figlio di Francesco I, di Corneille de Lyon, una copia di bottega del Cristo portacroce di Pieter Brueghel il Giovane e una stupenda Natura morta romana di ambito caravaggesco. 

RINASCIMENTO PRIVATO 
AOSTA, MUSEO ARCHEOLOGICO REGIONALE 
FINO AL 1 NOVEMBRE

FONTE: Marco Rosci (lastampa.it)